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GIOVANNI TIZIAN: “I boss condizionano economia, ancora poca la consapevolezza al Nord”

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I loro nomi, quello del boss ma anche quello dell’imprenditore, li aveva scritti nei suoi articoli per la “Gazzetta di Modena” mentre loro programmavano di metterlo con le spalle al muro, di costringerlo  al silenzio.  “O smette o gli spariamo in bocca” dice l’imprenditore Guido Torello  al boss Nicola Femia al telefono senza sapere di essere intercettatato dalla Guardia di Finanza in Emilia-Romagna. Gli investigatori nel gennaio scorso ascoltando l’audio delle comunicazioni del clan mettono sotto scorta il giornalista Giovanni Tizian, oggi firma d’inchiesta del Gruppo L’Espresso.  L’inchiesta conclusa oggi ha portato a 29 arresti per mafia nella filiera del gioco d’azzardo, 150  perquisizioni e i sequestri di beni per nove milioni di euro. «Non è una novità – afferma Tizian intervistato da Libera Informazione – si tratta della terza azienda del paese, quella del gioco d’azzardo. Ai clan fa gola il giro di soldi prodotto soprattutto da slot machine, riescono a penetrare con facilità il mercato e manipolare le macchine, grazie ad una filiera ben organizzata di appoggi».

Che peso ha l’operazione di oggi per una regione come l’Emilia – Romagna?
Si tratta di una operazione che colpisce il settore del gioco d’azzardo da tempo oramai business infiltrato dai clan, in particolare dalla ‘ndrangheta in Emilia-Romagna e al Nord. Le mafie non perdono occasione per fare profitti e questo settore rappresenta, in termini economici, la terza azienda del Paese. Dalla cosca Lampada – Valle agli arresti di oggi che coinvolgono fra gli altri, Nicola Femia, è evidente la forza di penetrazione criminale dei boss che fatturano milioni di euro e riciclano capitali. Controllano la filiera e godono di appoggi, manipolano le macchine da gioco. “Re degli slot” oramai dominano un settore che in Italia, ricordiamolo, ha solo dieci aziende autorizzate. I Monopoli di Stato, infatti, hanno affidato a queste concessionarie la gestione delle macchinette elettroniche (new slot nei bar e tabaccherie e videolottery di nuova generazione in sale dedicate, ndr).
A capo dell’organizzazione e coinvolto nell’inchiesta Nicola Femia, chi è?Nicola Femia è un uomo con un passato da narcotrafficante collegato alle ‘ndrine di Maria Gioiosa  Jonica, di Reggio Calabria, di Locri e a quelle operano anche al Nord, in Lombardia. In grado di chiedere appoggi alle “locali” proprio in Lombardia per organizzare cene elettorali nel 2008 a favore di un candidato dell’Udc in Emilia-Romagna. Ho scritto di queste inchieste anche nei miei articoli e ancora oggi evidenziano un legame solido e importante con i clan (a partire dai già citati Lampada – Valle) ma anche con i professionisti e gli imprenditori.
Proprio per aver scritto di queste inchieste che li riguardavano Femia e l’imprenditore Torello parlano dei tuoi articoli e meditano vendetta contro di te. Che effetto ti ha fatto sentire oggi dalle intercettazioni quelle frasi?
Sapevo delle minacce che erano state all’origine dell’assegnazione della scorta un anno fa ma sentire quell’audio mi ha fatto impressione. Paura, per prima cosa  per il contenuto chiaramente. Ma stupore per il modo in cui programmavano la fine di una persona cosi come si programmano degli affari. Un passaggio, in particolare, fa pensare. L’imprenditore, Torello, dice “O gli spariamo in bocca o lo facciamo smettere in altro modo”. Qual è l’altro modo che il faccendiere garantiva al boss? Quale rete di contatti avrebbe agito per mettermi a tacere? Queste domande sono al momento senza risposta ma aprono interrogativi pesanti sulla rete di appoggi su cui possono contare i boss e i fiancheggiatori.
Per l’Emilia -Romagna le minacce dei boss contro di te sono state un po’ “la perdita dell’innocenza”, una sorta di spartiacque per l’opinione pubblica. C’è ancora sottovalutazione del fenomeno, dopo il lavoro fatto da magistratura, associazioni, istituzioni e giornalisti?
C’è stata tanta solidarietà immediata dopo la notizia dell’assegnazione della scorta. In seguito, ho dovuto constatare che una parte era solidarietà di “facciata”. Anche l’attenzione mediatica che si è generata intorno al caso ha creato delle “invidie” e delle spiacevoli osservazioni sulla mia situazione. Credo che le intercettazioni telefoniche che abbiamo, purtroppo, ascoltato oggi tolgano qualsiasi dubbio sulla vicenda e anzi ne sottolineino a distanza di un anno, la pericolosità e la capacità di controllo e gestione degli affari (e della vita delle persone) che i boss hanno in questa terra. A mio avviso siamo ancora lontani da una presa di consapevolezza da parte del Nord rispetto alla pericolosità dei clan.
Perché? 
Perché conviene economicamente  fare affari con boss, imprenditori collusi.  Finché sarà cosi ci sono poche probabilità di spezzare questi legami. Poche  speranze che imprenditori, politici, cittadini capiscano la gravità di quello che sta accadendo in questa regione.

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