Di Luca Scarnati
È ormai un anno che la nave è affondata, adagiata su un fianco, a poca distanza dall’ingresso del porto dell’isola del Giglio, sospesa su due spuntoni di roccia che le o impediscono di sprofondare in fondo al mare. Da allora molte cose sono successe, sospinti dal clamore dell’incidente la Costa Crociere e il governo italiano hanno messo in moto la macchina del recupero. Così il Ministero dell’Ambiente impone il recupero integrale dell’enorme relitto, operazione mai tentata fino ad ora nella storia della navigazione, e la compagnia, sovvenzionata dalle assicurazioni, prepara un bando internazionale. Tra i sei progetti presentati in una gara svoltasi a Londra nel marzo 2012, vince il consorzio tra la Micoperi società riconosciuta a livello mondiale nell’industria offshore con sede a Ravenna, e la Titan Salvage, società statunitense del gruppo Crowley, esponente mondiale nel settore del recupero di relitti. Sulla trasparenza della procedura qualcuno ha sollevato dei dubbi, altri si sono dichiarati perplessi sulla validità tecnica del progetto, pronosticando disastrosi fallimenti.
Ma lo spettacolo continua e con 300 milioni di dollari a disposizione al Giglio cominciano i lavori preparatori. La prima preoccupazione è istituire un servizio di monitoraggio costante, così, facendo seguito al lavoro dell’ARPAT (Agenzia per la protezione ambientale della Toscana) che ha cominciato a monitorare le acque a pochi giorni dal disastro, con l’estate insieme ai turisti arrivano sull’isola i ricercatori del Dipartimento di Biologia Ambientale dell’università Sapienza di Roma. Guidati dal professor Ardizzone per prima cosa hanno realizzato una dettagliata cartografia, indicando con estrema precisione i dettagli dei fondali e identificando le praterie di Posidonia oceanica (una pianta che colonizza i fondali marini) e il coralligeno (l’insieme di organismi vegetali e animali che colonizza rocce e fondali rocciosi). Sono poi state prese in considerazione le condizioni della fauna marina e lo stato delle acque e delle correnti. “Quando siamo arrivati le condizioni delle acque erano buone – assicura il professor Ardizzone – abbiamo così stabilito un punto zero per poter poi proseguire il monitoraggio durante l’avanzamento dei lavori. Con i dati raccolti siamo inoltre in grado di sviluppare dei modelli capaci di stimare quale sarebbe il comportamento di eventuali inquinanti che dovessero ulteriormente sversarsi dal relitto”.
Il carburante della nave e i principali materiali inquinanti presenti sulla nave sono stati infatti tutti recuperati con il finire della primavera, ora il passo successivo sarà verificare l’impatto che i lavori del cantiere per la rimozione non creino ulteriori danni o sversamenti. Attualmente il danno principale riguarda la prateria di Posidonia, alcune centinaia di metri quadri distrutti, a causa dell’adagiamento dello scafo e per l’ombra che lo stesso produce sui fondali. Colpito anche un insediamento di Pinna nobilis, il bivalve più grande del Mediterraneo, specie protetta a priorità di conservazione per l’Unione Europea.
Ha fatto sensazione lo spostamento degli individui sopravvissuti in un’area più sicura, operazione mai tentata prima d’ora, ma che per adesso sta dando buoni risultati. “Sono stati aperti i cantieri e noi controlliamo che non creino danni all’ecosistema. In particolare abbiamo verificato che l’infissione nel fondale roccioso dei pali che serviranno per agganciare i cavi per la messa in sicurezza della nave non provochino un eccesso di torbidità dell’acqua. Dovesse succedere abbiamo l’autorità per fermare i lavori”. Si provvederà poi a esplorare le stive con droni teleguidati, per cercare eventuali fonti di pericolo, in attesa del raddrizzamento dello scafo, che farà muovere grandi masse d’acqua e sarà il momento della verità. La nave sarà poi allontanata. “A quel punto – conclude il professore – il nostro compito sarà di monitorare lo smantellamento del cantiere e promuovere attività di ripristino dell’ecosistema marino negli anni a venire.” Tutta l’attività sull’isola è monitorata da un comitato consultivo supportato da uno tecnico-scientifico, con i rappresentanti di istituzioni, enti locali, università e centri di ricerca, capeggiato dal Capo del Dipartimento della protezione civile Franco Gabrielli. Si riunisce frequentemente e mette al corrente la popolazione dell’isola del procedere dei lavori. Mentre la cronaca si concentra sulla vicenda giudiziaria, sulla farsa mediatica messa su dall’ex comandante della Concordia, sono proprio gli abitanti dell’isola a preoccuparsi per le sorti del loro mare.
Da isolani forse pensano, come scriveva il navigatore-scrittore Joseph Conrad, che “il mare non è mai stato amico dell’uomo, tutt’al più complice della sua irrequietezza”. Così temono, e non sono i soli, che la forza delle mareggiate invernali possa far cedere il relitto, che andrebbe a depositarsi in fondo al mare divenendo irrecuperabile. Si tratterebbe a quel punto di una bomba ad orologeria, una città in grado di ospitare e mantenere 5.000 persone, più di 3 volte la popolazione di tutta l’isola, sepolta a poca distanza dalla costa.
I ritardi nei lavori di messa in sicurezza, completati con la fine del mese di novembre, non hanno avuto conseguenze anche grazie ad una stagione invernale evidentemente in ritardo. Ma mettono in evidenza come l’entità di questa operazione lasci ampio spazio agli imprevisti. Il passaggio successivo consiste nella realizzazione di un basamento su cui lo scafo andrà a poggiare quando sarà raddrizzato, saranno poi montati sui fianchi enormi cassoni in acciaio che ne consentiranno il galleggiamento e l’allontanamento, verosimilmente verso le coste della Toscana, dove la nave sarà smantellata in un apposito bacino.
Ma come detto è tutta teoria, si vedrà pian piano cosa succederà, mentre già i costi del recupero, per una nave costata 450 milioni di €, stanno salendo, avvicinandosi ai 400 milioni di dollari, circa 300 milioni in €. A questo punto tutto è slittato di alcuni mesi e l’allontanamento definitivo della nave era indicato da Costa Crociere per inizio giugno 2013, nella speranza che l’inverno passi indenne, ma già sembra prospettarsi un rinvio al settembre 2013.