BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

“Che bello lavorare”

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L’angolo dove coltivare – ogni giorno – il sogno di un’occupazione stabile, un luogo dove recarsi tutte le mattine e condividere lo stesso spazio con altri colleghi. Ma soprattutto il “porto sicuro” che non ti aspetteresti mai si trasformasse nel peggiore degli incubi, quando qualcuno – dall’alto – decide di annientarti nella tua dignità di essere umano. Ecco allora che ti piovono addosso angherie, vessazioni, soprusi che si tramutano in demansionamenti. Come accade a Marirò, la protagonista di “Che bello lavorare!” (Homo scrivens editore), il libro scritto da Vincenzo Russo, sangiorgese doc, presentato sabato nella cornice del Maschio Angioino a Napoli con l’editore Aldo Putignano, Paolo Pappone, responsabile del Dipartimento Salute Mentale Centro Assistenza alle vittime di violenza sul lavoro ASL NA 1, Riccardo Polidoro, presidente del Carcere possibile Onlus – Camera Penale di Napoli, Rita Liguori, responsabile Centro di Ascolto Antimobbing FP CISL Napoli. Un romanzo che ruota attorno ad un tema più che attuale, che per la maggior parte delle persone continua a rappresentare una specie di tabù: quello del mobbing. Una “brutta parola” che, in Italia, costringe oltre un milione e cinquecento mila lavoratori, stando agli ultimi dati diffusi dall’UniversitàLa Sapienzadi Roma, a subire in silenzio le umiliazioni quotidiane dei datori di lavoro, dietro i quali molte volte si nascondono i “caporali”. Già. Quelli sempre pronti a vessare il povero impiegato, l’operaio, il sottoposto alle loro dipendenze. Chi non ricorda “Siamo uomini o caporali?”, la pellicola del ’55 diretta da Camillo Mastrocinque con uno straordinario Totò nel ruolo di una comparsa teatrale che si ritrova, di volta in volta, vittima del caporale di turno, interpretato dal poliedrico Paolo Stoppa, da cui subisce quotidianamente angherie? Uno spettacolo già visto, che si ripete – ogni giorno – nei luoghi di lavoro. Proprio come accade alla sfortunata ma coraggiosa protagonista del libro di Russo, che trova la forza di denunciare un reato di cui, nel Belpaese, ancora pochi conoscono il significato e, soprattutto, le conseguenze. Un virus, come lo ha definito Santino Mirabella, giudice presso il Tribunale di Catania, che “oggi è accomunato finanche allo stalking”. “Il mobber – dice il magistrato – è tendenzialmente un vincente. È colui che ha la necessità di rendere evidente a sé e agli altri che sia un vincente. Ed è colui che riesce a far sentire isolata una persona e fargli terra bruciata intorno”. Tratto da una storia vera (Marirò era tra il pubblico, l’altro ieri, nell’Antisala dei baroni del Maschio Angioino), il volume di Russo ha il valore aggiunto di affrontare un tema scottante, una piaga che non è ancora punibile in Italia, dove non esiste ancora una legislazione in materia. Dove spesso la vittima si ritrova sola, abbandonata finanche dai colleghi di lavoro, che talvolta subiscono gli stessi soprusi, ma soccombono alla legge del più forte. “Spesso la vittima – sostiene l’autore di “Che bello lavorare!” – si ritrova sola. Allora comincia a chiedersi: ma io chi sono? E le conseguenze psicologiche sull’individuo sono devastanti. Ecco perché ho voluto testimoniare la forza d’animo di una donna che, contrariamente a ciò che si crede, non rappresenta affatto il cosiddetto sesso debole”. Toccante il ricordo di due vittime “eccellenti”, cui Russo dedica ideologicamente il romanzo. “Giovanni Falcone da un lato e Placido Rizzotto dall’altro devono essere da esempio per tutti i lavoratori. Un magistrato e un sindacalista che hanno lottato per affermare le loro idee di fronte ai “caporali” contro i quali, di volta in volta, hanno dovuto combattere”. A far “trasmigrare” dalle pagine una Marirò sofferta, dapprima impaurita e inerme di fronte all’angheria subita dai suoi superiori, poi coraggiosa e impavida interprete della voce di tutti i lavoratori del mondo l’appassionante lettura di Carmen Femiano, accompagnata da Ferdinando Maddaloni, straordinariamente convincente nella veste del “caporale fotocopia”, dell’avvocato difensore di Marirò preoccupato solo del suo viaggio in Croazia o del parcheggiatore abusivo che “tutto comanda” a Napoli. Personaggi che, nelle intenzioni dell’autore, rivivranno sul palco nell’allestimento teatrale che sarà tratto dal libro.


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