Com’era prevedibile, lo tzunami mediatico elettorale si è abbattuto sul Paese. La situazione merita attenzione, perché non è arrivata soltanto l’onda attesa e inquinata del Califfo di Arcore, ma anche quella anomala e travolgente dell’ex premier. Piccoli gorghi vengono segnalati altrove, ma – finora – nulla di preoccupante, anche se qualche leggera increspatura sembra turbare il mare della tranquillità di chi le prossime elezioni è sicuro di vincerle, forte della bonaccia imposta dai “venti di primarie”.
Tanto lavoro, dunque, per chi oggi campa di giornalismo? Forse no, o meglio, bisogna distinguere. Secondo una stima della FNSI, infatti, una settantina di testate d’informazione italiane sono sull’orlo della chiusura – è di questi giorni la vicenda di “Pubblico” – mettendo a rischio complessivamente 4mila posti di lavoro.
D’altronde, i dati parlano chiaro: in pochi anni, i lettori italiani di quotidiani cartacei sono passati dal 67% al 45,5% della popolazione. Ma allora, attraverso quali media i nostri competitor intendono raggiungere gli elettori? Attraverso la Rete, i cui frequentatori sono aumentati nell’ultimo anno del 9%, portando gli internauti a oltre il 60 per cento dell’intera popolazione italiana.
Sembrerebbe dunque azzeccata la profezia di Philip Meyer che pose entro il 2040 la fine della carta stampata. La faccenda, però, è più complicata. La crisi della stampa c’è, ma è di vendite, a causa di una mutazione genetica che ha stravolto il sistema informatori-informati. Secondo l’ultimo Rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione, infatti, i lettori di quotidiani e di periodici sono in crescita, ma calano le vendite delle testate cartacee a pagamento (- 7%), mentre crescono i lettori della free press (+ 1,8%) e dei quotidiani online (+ 0,5%), con un 18,2% di cittadini che si informano sulle testate quotidiane in Rete.
Tuttavia, anche se Internet ha modificato la dieta mediatica degli italiani, il medium più usato – seppur in lievissimo calo – resta la televisione. Il 97,4 per cento degli italiani guarda la tv – quasi il 30 utilizza esclusivamente radio e tv – e più dell’80 per cento si informa tramite i tg. Secondo “Punto informatico”, la crescita dell’estraneità alla carta stampata si deve al progressivo allontanamento delle fasce di età più giovani dai giornali, che si sono invece buttate sul Web, sull’onda della convinzione (illusione?) di trovarvi “informazione autoprodotta-autogestita”. Basti pensare al fenomeno “YouReporter” o a quello dei social network: “Facebook”, “YouTube”, “Tweeter”. Il tutto favorito dalla miniaturizzazione dei dispositivi mobili sempre più potenti e versatili, che integrano le funzioni dei vecchi media nell’ambiente di Internet (smartphone, tablet).
Eppure, rileva “lastampa.it”, sono ancora numerosi i cittadini lontani dal digitale: anziani, lavoratori non specializzati, persone con basso livello di istruzione, abitanti di piccoli centri.
In ogni caso, non si possono tirare le somme senza prendere in considerazione l’opinione che gli utenti hanno del sistema dell’informazione professionale del Paese.
Secondo un recente sondaggio del “Corriereinformazione.it”, la categoria dei giornalisti italiani è competente (77 per cento degli intervistati), ma poco indipendente (oltre il 67 per cento degli intervistati), perché troppo legata al potere politico o finanziario. In particolare, la tv viene ritenuta credibile dal 5,74 per cento degli intervistati, i giornali dal 6 per cento, la radio da poco più del 6, e Internet si guadagna il primo posto di media “più libero e disinteressato”, con il 6,55 per cento delle risposte.