Ci risiamo. Per la seconda volta nel giro di poco tempo a Roma si chiudono le porte del nido comunale per i bambini detenuti, quei piccoli sotto i tre anni che vivono con le loro madri dietro le sbarre. Da tempo tutti, ma proprio tutti, dicono che i bambini in carcere sono una vergogna. Che questa situazione non è ammissibile in un paese civile. Ma forse noi non siamo un paese civile e per questo continuiamo a consentire che ci siano dei bambini detenuti. Il DAP non ha fornito dati precisi sui bambini in carcere, ma in media si aggirano attorno alla sessantina. A Femminile di Rebibbia sono tra i 15 e i 20.
Quindici anni fa a Roma, dopo una lunga battaglia, si era ottenuto che anche i figli delle galeotte potessero frequentare il nido esterno. Ad accompagnarli nel percorso dal carcere alla scuola c’era un pulmino del municipio. Ora però sono finiti i soldi per pagare il pulmino e ai bambini non resta che rimanere per 24 ore al giorno in carcere insieme alle loro madri e al personale di polizia penitenziaria, privati di un momento di socializzazione fondamentale per tutti i bambini, ma ancora di più per chi vive ristretto. Per loro niente scuola, niente amicizie esterne, niente uscita quotidiana dalla prigione.
L’Associazione A Roma Insieme, che lavora da anni nella sezione nido del carcere femminile di Rebibbia si appella all’assessore alle politiche sociali nonché vicesindaco della capitale Sveva Belviso. Chissà se la capitale saprà essere più civile del suo paese?
Intanto i piccoli restano dentro, senza capire perché. E sinceramente anche noi.