Settant’anni fa il 26 gennaio 1943 sul fronte orientale russo furono migliaia i soldati italiani a morire nella battaglia di Nikolaevka, inizio del ripiegamento delle truppe dell’asse impegnate nella Guerra Mondiale.
La storia
Attilio Assirelli classe 1913, cento primavere il 15 settembre, vive a Gorizia, uno dei pochi ad essere sfuggito all’inverno russo e alla tragedia della seconda Guerra mondiale. “Io ero artigliere di complemento, mandato in Russia a Tobruk, un fronte lungo migliaia di chilometri. Vivevano come topi nei bunker scavati nel terreno ghiacciato, a meno 20, senza equipaggiamenti adeguati. Gli stivali di cuoio erano stati sequestrati alla partenza e in cambio erano state consegnati scarponi e fasce di stoffa”.
La prigionia
Attilio era arrivato sul fronte russo nell’aprile del 1942, la vigilia di Natale dello stesso anno venne fatto prigioniero e assieme a migliaia di soldati di nazionalità diverse, internato nel campo di concentramento di Mordovia in Uzbekistan. “Abbiamo viaggiato per giorni su vagoni bestiame, senza cibo e acqua per giungere al campo. A intervalli il treno si fermava e noi mangiavamo la neve per fame e sete, così molti, i più deboli, sono morti”. Ha resistito per 4 duri inverni Attilio fino alla liberazione nel novembre del 1945. Quando è tornato a casa pesava 43 chili, ma era vivo e aveva voglia di vivere. Aveva viaggiato per oltre10600 chilometriper tornare a Parma, dove allora viveva, dal campo a250 chilometrida Mosca.
Dimenticati da tutti
“In Russia eravamo come sepolti vivi, nessuno si occupava di noi. Solo pochi mesi prima della liberazione arrivòla Croce Rossaper distribuire delle cartoline per mandare notizie a casa. Non a tutti però; uno ogni 10.Il 12 agosto del 1945 il prigioniero Assirelli scriveva a casa che stava bene, non era vero, ma la censura non avrebbe tollerato la verità. Il viaggio di ritorno fu lungo perché i treni che riportavano i soldati in patria passavano solo dopo tutti gli altri. “Soprattutto gli sbalzi di temperatura erano terribili”, ricorda Attilio. “Nella stessa giornata si passava da più18 ameno 20, i continui appelli all’aperto erano un tormento”. Il cibo era scarso, il pane un blocco di ghiaccio e doveva essere battuto con forza per spezzarlo e poi poterlo mangiare.
I russi non erano cattivi
“Stalin ci faceva lavorare in campagna”, aggiunge “ma i russi non erano cattivi e un giorno con un compagno sono entrato in una izba dove una donna aveva appena sfornato il pane. Lo ha diviso con noi nemici, sporchi e affamati. Alla fame si aggiungeva il tormento della mancanza di sonno tranquillo. Solo una volta, durante una marcia, abbiamo visto una pagliaia, mi sono tuffato dentro e non avrei voluto più uscire da quel ventre protettivo.”
Dalla Grecia al grande freddo russo
La sorte non ha avuto la mano leggera con Attilio che, prima della Russia, aveva già combattuto in Grecia nel 1941. “Almeno là, ricorda Attilio sorridente e ironico, si mangiava frutta colta dagli alberi e non era freddo”. Dalla Grecia il ritorno fu più facile, attraverso l’Albania, da Valona e Brindisi su una nave che trasportava cavalli. Poi due giorni di tradotta per arrivare in caserma a Cremona. Una pausa durata poco perché poi la Patria lo ha destinato alla Russia.
Una vita di lavoro iniziata a10 anni
Attilio ha occhi scuri, luminosi e profondi, capelli corti ma folti, le rughe segnano il sorriso, la postura è fiera, la stretta di mano vigorosa “A 10 anni avevo già mani con i calli fatti. Sono andato a scuola fino alla terza elementare, dopo ho sempre lavorato fino alla pensione, non sono mai stato disoccupato”. Il padre, di origine toscana, era minatore in Svizzera dove lui è nato. Allo scoppio della Grande Guerra la famiglia rientrò in provincia di Firenze. “ A 17 anni emigrai in Corsica per lavorare e rientrai per andare soldato. Dopo la guerra ho vissuto in molte città, dove c’era lavoro”, racconta Attilio mentre brinda con succo di sambuco preparato da Teresa, la badante che vive con lui da 6 anni. Durante la sua lunga vita ha sofferto il dolore della morte di sua moglie e dei suoi figli. Sul tavolo della sua casa le croci di guerra, le fotografie in divisa e i ricordi. Oramai sono rimasti in pochi i testimoni di queste drammatiche pagine di storia vissute nelle carne.