Due città meticce in cerca di una nuova identità, proiettate verso una possibile realtà di laboratorio culturale, economico e urbanistico nella nuova Europa. L’italiana Gorizia e lo slovena Nova Gorica, hanno vissuto pagine crudeli della storia del Novecento. Prima vicini in pacifica convivenza divenuti nemici dopo il 1947, quando il trattato di pace siglato alla fine della seconda Guerra mondiale aveva imposto alle famiglie la separazione, alla città la ferita di un confine fra occidente e oriente, fra Italia e Jugoslavia. Non solo una Berlino a nord-est, molto di più; una società multiculturale e multilinguistica per secoli. Una società spezzata, un tessuto sociale, culturale e economico lacerato per oltre 50 anni. Fino al 2007 quando le città ponte fra il mondo occidentale capitalista e orientale comunista hanno ritrovato unità grazie dalla caduta dei confini della nuova Europa. Da allora le due realtà nazionali cercano, non senza fatica, un nuovo ruolo, svaniti i vantaggi dagli aiuti assegnati al territorio dal trattato di Osimo, risarcimento per i territorio passati a Tito. Persa la forza dell’economia di confine, basata sull’import-export, svaniti i vantaggi di essere emporio privilegiato per un bacino di acquirenti balcanici, affamati di prodotti consumistici introvabili a Lubiana, Zagabria e Belgrado. Oggi, a 10 anni della rimozione dei valichi confinari presidiati da ingenti forze dell’ordine dei due paesi, i cittadini della vecchia e nuova Gorizia si interrogano su cosa sono ma soprattutto su cosa potranno essere, dimenticando le contrapposizioni ideologiche ed etniche. Lo voci di donne e uomini, italiani e sloveni, anziani e giovani, raccontano le memorie, il presente e i desideri di gente semplice che vive nelle due città separate dall’ufficialità della storia e dei governi ma che non hanno mai smesso di matenere vivo un dialogo, anche quando sul confine i “graniciari”, miliziani con la stella rossa sparavano a chi, magari inconsapevolmente attraversava la linea proibita.
Le testimonianze sono state raccolta in “Album della città” interviste e scatti fotografici diventati un cortometraggio realizzato da Anja Medved dell’associazione cinematografica Kinoatelje in collaborazione con la slovena Kinokasca. Sono racconti e denunce della Nova Gorica città costruita dai pionieri di Tito, emblema di modernità in contratta posizione alla medievale dirimpettaia. Un campo di grano invaso da un cubo per commercializzare cibo globalizzato è il paradosso raccontato da Klaudja Fegelj mentre Igor Brajnik ricorda il viale di san Gabriele, arteria fra le due città, un tempo animato di persone oggi flusso continuo di auto. Leonarda Sircelj non ha paura del cambiamento, lei ricorda quando neppure lo sguardo osava andare oltre le garrite e dunque plaude alla libertà di movimento di persone e idee. “Bisogna amare le nostre città, spiega la donna, da sempre sono fatte di migranti”. L’italiano Alessandro Ruzzier racconta e intepreta il vissuto di Gorizia attraverso l’esperienza di Franco Basaglia che nell’ospedale isontino iniziò la rivoluzione della psichiatria mondiale. “Ho fotografato i fascicoli personali di persone italiane e slovene che hanno sofferto, non lo ho conosciute ma essere fanno parte di un concetto di città che vive la vita della sua gente. In questi documenti di sofferenza interpreto il mistero di un luogo”. Marino Cuzzi, dalla collina della Castegnevizza dove sono sepolti i reali di Francia fuggiti alla rivoluzione, narra i tramonti viola-arancio e la luce che avvolge di poesia la terra di nessuno lungo l’ex confine, mentre la giovane Sonia Kucler vede la natura assediata dalla cementificazione e l’abbandono di luoghi di grande bellezza e storia. Storie di genti di confine, dall’identità multipla, hanno ripreso a dialogare la fida del futuro per loro è l’impegno del presente.