Rita Levi Montalcini se n’è andata. Si è spenta serenamente, a 103 anni, nel calore della sua abitazione romana, in via di Villa Massimo. Accanto le persone più care, intorno a sé l’affetto di tutto un Paese che tanto le deve e che le ha sempre riconosciuto il merito guadagnato con il suo immenso sapere e l’ancor più grande impegno per la ricerca che l’ha portata al riconoscimento del Premio Nobel nel 1986.
Nei primi anni ‘50 scoprì il fattore di crescita nervoso noto come NGF, mettendo in luce il ruolo essenziale che esso aveva nella crescita e nella differenziazione delle cellule nervose sensoriali e simpatiche. Per oltre 30 anni ha proseguito le ricerche su questa molecola proteica e sul suo meccanismo d’azione ottenendo risultati inimmaginabili fino ad allora. Nella motivazione del Premio la grandezza del suo lavoro: “La scoperta del NGF all’inizio degli anni ’50 e’ un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da un apparente caos. In precedenza i neurobiologi non avevano idea di quali processi intervenissero nella corretta innervazione degli organi e tessuti dell’organismo”.
Era partita da Torino, dove era nata il 22 aprile del 1909, la fragile Rita, ragazza minuta e caparbia. Entrata giovanissima alla scuola medica, si laureò nel 1936. Nonostante fosse donna ed ebrea, condizione per la quale fu costretta ad emigrare in Belgio a causa delle leggi razziali emanate dal regime fascista nel ‘38, portò strenuamente avanti la sua carriera accademica come assistente e ricercatrice in neurobiologia e psichiatria. In quegli anni non esitò a fornire il suo supporto alla Resistenza, prestando fra l’altro la sua collaborazione come medico volontario fra gli Alleati.
Tornata in Italia, poco prima dell’invasione tedesca del Belgio, proseguì le sue importanti ricerche in un laboratorio domestico. Amava raccontare che lavorava in camera da letto e che non smetteva neanche sotto i bombardamenti.
Poi arrivò l’opportunità più importante della sua vita. Il direttore del Dipartimento di Zoologia della Washington University di Sant Louis, nel Missouri, la invitò a proseguire le sue ricerche negli Stati Uniti e così l’America diventò la sua seconda patria, vivendoci fino a metà anni settanta.
Ma è sempre stata l’Italia, il suo Paese, il punto di riferimento, il porto sicuro in cui rifugiarsi. E forse la nomina a senatore a vita, voluta dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nel 2001, la emozionò ancor più del premio Nobel.
Parallelamente alla sua carriera accademica, Rita Levi Montalcini ha portato avanti con determinazione il suo impegno in favore dell’emancipazione femminile, dando il suo contributo alla battaglia per la regolamentazione dell’aborto e supportando e promuovendo progetti per aiutare le donne africane.
E proprio questo era l’argomento principale delle nostre conversazioni. Ho avuto l’onore e il privilegio di conoscere Rita Levi Montalcini negli anni in cui è stata a Palazzo Madama. In particolare tra il 2006 e il 2008. Ci confrontavamo sulla straordinaria forza e la bellezza dell’animo di queste donne che, meno di altre, avevano la possibilità di emanciparsi e migliorare la propria condizione.
Dei nostri ultimi incontri rimarrà sempre vivo in me il ricordo delle sue parole, la motivazione che la spingeva a credere in questa causa, che riporto integralmente: “In Africa ci sono milioni di donne intelligenti a cui non viene data la possibilità di usare il cervello. E’ per questo che credo nell’istruzione, il mezzo che permetterà ad esse di acquisire gli strumenti per sviluppare e utilizzare la propria intelligenza”.
Esemplificazione perfetta, e che condivido, del concetto della libertà e del diritto a una vita migliore.
L’ultimo ricordo personale è legato alla mia gravidanza. Era il 2007, fine ottobre. Il Senato viveva una fase turbolenta, come tutta la Legislatura iniziata nel 2006. Stavo attraversando il corridoio che dalla Buvette portava alla Sala Stampa. Lei, accompagnata dall’inseparabile Piero, il collaboratore – segretario di una vita, stava uscendo dalla sala lettura di Palazzo Madama. Mi fermai a salutarla, le dissi che da lì a poco, nonostante non fosse il momento ideale per allontanarsi dal lavoro, sarei andata in maternità anticipata per non correre rischi. Lei mi guardò con il suo sguardo trasparente e mi disse: una scelta importante, che le fa onore.
Detto da lei, che aveva dedicato la sua vita all’amore per la scienza, aveva ancor più valore.
Concludo questo mio ricordo con una riflessione: Rita Levi Montalcini si scherniva dicendo di avere un’intelligenza mediocre e che il segreto del suo successo era il grande impegno che profondeva senza risparmiarsi. Mai.
La mia certezza è che lei fosse una scintilla luminosa nel buio della mediocrità del mondo culturale e politico del nostro paese. Una luce che illuminava le tenebre in cui stiamo vivendo questi anni di profonda crisi. La speranza è che il suo insegnamento, di perseveranza e impegno, non vada perso e ci aiuti a superare questa fase che, ci auguriamo tutti, non duri ancora a lungo.
Addio Rita, piccola grande Donna!
twitter: @AntonellaNapoli