Giancarlo Siani, giovane cronista “abusivo” del quotidiano Il Mattino, venne assassinato sotto casa sua il 23 settembre del 1985 all’età di ventisei anni “per aver scritto – hanno stabilito le sentenze – che il clan camorristico dei Nuvoletta aveva venduto il boss Valentino Gionta ai carabinieri, facendolo arrestare”.
Di questo caso, giunto a una verità processuale, se ne occupa il giornalista Bruno De Stefano con la sua ultima fatica “Giancarlo Siani –Passione e morte di un giornalista scomodo” dato alle stampe per i tipi di Giulio Perrone editore. “L’omicidio Siani –scrive l’autore- rappresenta uno di quei fatti di cui si parla tanto ma di cui si sa ancora pochissimo, e talvolta quel che si sa non corrisponde totalmente alla verità”. Indicata questa premessa, c’è da dire che questo lavoro di De Stefano rappresenta sicuramente un’opera necessaria che va a colmare un vuoto informativo e formativo nel panorama dell’editoria di genere, che sin qui ha preferito dedicare le proprie attenzioni quasi esclusivamente a le gesta di operatori militari arruolati nei clan camorristici.
Basta leggere le prima settanta pagine del libro per capire con quale superficialità si trattano alcuni argomenti a Napoli, dove si preferisce sempre sminuire l’importanza di un fatto accaduto o l’azione di una persona “non sprovveduta e ricca di ideali”. Giancarlo Siani, si legge, “è stato tradito da vivo e anche da morto” e non si può non convenire con queste affermazioni perché se soltanto coloro che lo hanno conosciuto bene, che con lui hanno collaborato quotidianamente avessero offerto agli inquirenti sin dai primi momenti una visione univoca che puntasse, cioè, esclusivamente al raggiungimento della verità, probabilmente quest’omicidio non celerebbe più alcun mistero. Non è un caso che a tanti, e nemmeno a chi scrive, ha mai convinto che la causa scatenante dell’omicidio sia stato quell’articolo ritenuto estremamente offensivo per il clan dei Nuvoletta.
Perché attendere molti mesi per zittire il giornalista visto che dopo aver ricevuto anche spinte a compiere l’omicidio dalla Sicilia, lo avrebbero potuto ammazzare solamente dopo poche settimane? Non regge nemmeno l’idea di un confronto da avviare con il boss Valentino Gionta recluso in regime di massima sicurezza, visto che la sua opinione non avrebbe pesato più di tanto sulla decisione finale. Troppe ombre offuscano ancora questo caso, proprio come quello del libro che Giancarlo stava per pubblicare e di cui non si è ritrovata mai una copia. Tante le concause che hanno portato al suo omicidio, ma Siani, assunto velocemente e senza volerlo, agli altari degli eroi e utilizzato per non per indicare ai giovani come bisogna compiere con scrupolo questo lavoro, ma soprattutto come vessillo per avanzare crediti di ogni genere, faceva sicuramente paura per quello che avrebbe potuto pubblicare e sulle indagini, da considerare all’epoca veramente primordiali, sulle connessione tra camorra e politica.
Questo lavoro di De Stefano, scritto con la solita abilità giornalistica di chi vuol far ragionare i propri lettori, ponendoli dinanzi alle continue contraddizioni di un caso così delicato, potrà avere un merito se un po’ tutti gli addetti ai lavori sapranno, ma soprattutto vorranno andare al di là dei semplici giochi di facciata che sarà quello di scardinare l’alibi innalzato da coloro che preferiscono ricorrere e spiegare tutto ciò solamente con le analisi di un fenomeno delinquenziale di tipo militare.
E’ più in alto che si deve puntare, altrimenti riceveremo la conferma che l’impegno quotidiano di Siani tutt’oggi farebbe ancora tremare perché offrirebbe la possibilità di ridisegnare scenari bollati genericamente con l’appellativo di camorra.