“La benedizione del Signore risorto sia su questo Paese e su chi lo governa, sui leader tradizionali e quelli politici. Possa il suo santo spirito guidarvi verso la realizzazione della nuova evangelizzazione”. Parole del cardinale Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, pronunciate al termine del suo viaggio in Uganda, svolto dal 13 al 16 dicembre scorsi, in occasione del centenario dell’evangelizzazione del Paese africano.
Il cardinale in questione presiede uno dei dicasteri vaticani più importanti, è chiamato il ‘Papa rosso’, per il governo che esercita, a nome del Pontefice, su migliaia di diocesi di ‘frontiera’, cioè nelle terre di evangelizzazione in tutto il mondo, dall’Africa, all’Asia, all’America Latina. Quasi negli stessi giorni, cioè al termine dell’udienza generale di mercoledì 12 dicembre, la speaker del Parlamento dell’Uganda, Rebecca Kadaga, una delle promotrici di una legge che punta a criminalizzare gli omosessuali con pene che arrivano fino all’ergastolo, ha potuto salutare personalmente il Pontefice.
Saluto breve, certo, e però non concesso a tutti, anzi: l’accesso diretto al Papa è severamente regolato e deciso dalla Prefettura della Casa Pontificia da poco posta sotto la guida di don Georg Gaenswein, il segretario personale del Papa che ha preso il posto del neocardinale James Harvey spedito rapidamente lontano dal Vaticano, nella basilica di San Paolo Fuori le Mura, per non aver vigilato abbastanza bene nel caso vatileaks dato che, proprio dai suoi uffici, arrivava la talpa Paolo Gabriele poi rimasta a fianco del Papa per sei anni filati con tanto di fotocopiatrice.
Il fatto non è passato inosservato: molti siti web anche della galassia dei movimenti per i diritti dei gay hanno alzato la voce e attaccato il Vaticano per quell’incontro breve quanto si vuole, ma non scontato. Ad accendere la miccia però era stato l’ormai mitico messaggio per la pace di Ratzinger – pubblicato dal Vaticano il 14 dicembre – nel quale fra i nemici della pace venivano collocati i matrimoni omosessuali, l’aborto, l’eutanasia, l’attacco alla libertà religiosa in occidente, l’alta finanza. Un bel patchwork. Il corto circuito insomma era dato dalla prossimità fra i due eventi, il saluto con la speaker e il documento pontificio. Accadeva allora che sul web si leggeva: ‘il Papa benedice la politica ugandese che vuole la pena di morte per i gay’, e giù botte da orbi.
La replica di Famiglia cristiana e delle guardie svizzere che presidiano diversi giornali era, come al solito in questi casi, gonfia di indignazione. ‘Il Papa non ha benedetto nessuno, tantomeno la speaker del Parlamento ugandese’. Vero, propriamente il Papa non aveva benedetto nessuno, anche se la parola forse aveva un significato più giornalistico che letterale. Ma lasciamo andare. Si diceva anche: la Chiesa, fra l’altro, si era pure espressa contro quella legge, basta andarsi a rivedere alcuni documenti pubblicati da Wikileaks (il Foglio, inoltre, sottolineava che la proposta non prevedeva più la pena di morte ma solo l’ergastolo..).
Vero anche questo, ma appunto qui la cosa diventa curiosa: perché mai il Vaticano – invece di doversi appellare ai documenti rubati (forse è un vizio…) di wikileaks non ha urlato ai quattro venti la propria contrarietà alla proposta di legge contro gli omosessuali proprio per far capire che la difesa ‘cattolica’ della famiglia non aveva nulla che fare con simili discriminazioni? Anche i vescovi del Paese tuttavia hanno – a suo tempo – criticato la proposta. Resta un interrogativo: per quale motivo è stato concesso l’accesso al Papa di una personalità tanto discutibile come Rebecca Kadaga?
Aleggiano poi, su tutta la vicenda, altri dubbi in questi tempi di corvi. Probabilmente nessuno, anche fra i cronisti più esperti, si era accorto del saluto fra il Papa e la politica ugandese. Che qualche manina abbia fatto scivolare l’informazione con tanto di foto – non rilanciata da nessuna agenzia internazionale, così ci risulta – su qualche scrivania? Certo è che il sito del Parlamento ugandese pubblicava il tutto, ma chi dava fuoco alle polveri?
Non se la prendano gli amici del ‘Fatto quotidiano’ se diciamo che, a nostro avviso, sia stato proprio il loro sito a dare la notizia urbi et orbi(almeno in Italia), a parte alcuni siti web dedicati ai diritti degli omosessuali. Se pure così fosse i colleghi del quotidiano di Padellaro avrebbero giustamente da rivendicare l’operazione.
In ogni caso l’uno-due costituito dal ‘no’ alle nozze gay affiancato alla stretta di mano con la leader ugandese, irrompeva su twitter come un fiume in piena cancellando d’un sol colpo i primi barlumi di simpatia che il Papa cominciava a raccogliere sull’account di @pontifex. Troppi spifferi davvero ci sono in Vaticano, e troppa imperizia, ambiguità, ottuisità ideologica. La faccenda sarebbe da considerarsi conclusa (diciamo così) se non fosse arrivato il cardiale Filoni. Quest’ultimo ha percorso il Paese africano in lungo e in largo, guarda caso negli stessi giorni in cui Rebecca Kadaga veniva in Vaticano per salutare il Papa, e richiamava vescovi e sacerdoti al rispetto della morale e della dottrina cattolica, inoltre incoraggiava la Chiesa locale a proseguire nel proficuo lavoro di evangelizzazione. Nell’occasione il porporato benediceva esplicitamente i leader politici: magari li ha benedetti tutti, anche quelli che qualche dubbio sulla legge ce l’hanno, chissà. Ma forse sarebbe bastato dire qualcosa in più sul rispetto dei diritti umani e sul rifiuto di ogni tipo di discriminazione, anche quella di tipo sessuale, per far apparire il volto più umano della Chiesa.