Scopro subito le mie carte: io Marco Pannella lo conosco da più di trent’anni. Su di lui ho scritto almeno cento articoli, e una biografia che ho fatto a sua insaputa, perché altrimenti – ne sono certo, mi avrebbe dissuaso – e ho avuto la soddisfazione di vederli spuntare una lacrima di commozione quando gli ho finalmente presentato il volume. Il suo: “Ma-vaffa-nculo!”, è stata la più bella recensione tra quelle avute. Non c’è cosa che voi possiate aver pensato e pensiate, che io non abbia, una volta almeno, pensato e pensi. Anch’io l’ho mandato a quel paese, anch’io ho sbuffato e fatto ricorso ai santi del calendario per il suo saper essere insuperabilmente un rompicoglioni; volete aggiungere che è logorroico, confusionario, chiede tutto e il suo contrario, è capace di dirti le cose più atroci e insieme di gesti delicati quanti nessun altro mai, che è popolano e raffinato insieme, che i suoi sono mille e un difetto? Avete ragione. Marco è una benedizione, ma – anche – per fortuna che ce n’è uno. Immaginatene due insieme…
E però Leonardo Sciascia in un articolo scritto per il quotidiano madrileno “El Pais”, ebbe a dire che Marco “è il solo politico italiano che costantemente dimostra di avere il senso del diritto, della legge e della giustizia”. Marco, ha scritto sul “Corriere della Sera” Eugenio Montale, che di elogi era assai parco, è l’uomo che ispirato sorge “dove il potere nega, in forme palesi, ma anche con mezzi occulti, la vera libertà”, e lo accosta, pensate!, ad Andrej Sacharov, “soli e inermi, essi parlano anche per noi”.
E Indro Montanelli già nel 1979 Indro Montanelli diceva: “…E’ un figlio discolo e protervo, un giamburrasca devastatore che dopo aver appiccato il fuoco ai mobili e spicinato il vasellame, è scappato di casa per correre le sue avventure in prateria. In caso di pericolo o di carestia, lo vedremo tornare portandosi al seguito mandrie di cavalli e di bufali selvaggi, quali noi non ci sogneremo mai di catturare e domare”.
Marco da giorni non mangia, non beve. I medici diffondono bollettini angosciati e angoscianti; e ti assale una sorta di rabbia cupa, sorda…“Marco, c’at vègna un cancher, smetti!”, avresti voglia di ululargli. “Con quale diritto fai quello che fai, e ci imponi questo tormento, questa sofferenza?”, e davvero vorresti ficcargli a forza un imbuto in bocca e poi giù, litri d’acqua, che ne anneghi…Ma no, ha ragione lui, purtroppo. Ha ragione a ricordarci, a quel prezzo, in quel modo, pregiudicando la sua salute e la vita stessa, la situazione che si è determinata, l’illegalità diffusa, profonda in cui affonda il paese; e a tentare di scuoterci dalla nostra inerzia, dall’indifferenza, dalla rassegnazione. Se vuoi, puoi. Se puoi, devi…
Marco ci ricorda il testo di un appello del 1976 aperto da Pietro Nenni, e sottoscritto tra gli altri da Giuseppe Saragat, Ferruccio Parri, Alberto Moravia, Elena Croce, Arrigo Benedetti, Guido Calogero, Aldo Visalberghi, Loris Fortuna, Giacomo Mancini, Riccardo Lombardi, Franco Fortini, Lucio Colletti, Antonio Baslini, Alessandro Galante Garrone, Ignazio Silone, moltissimi altri, politici, scrittori, registi, pittori, giornalisti…Erano tanti, e tanti sono morti. E’ arbitrario, certo, dire cosa avrebbe fatto “oggi” chi che non c’è più, ma non ho dubbi: oggi si sarebbero mobilitati, avrebbero levato la loro voce, come allora: non tanto o solo per Pannella, quanto e soprattutto, per la causa che Marco agita e – letteralmente – incarna. Ci sono i vivi, quelli che possono, che devono; che sanno: Giuliano Amato, Giorgio Galli, Francesco Alberoni, Franco Ferrarotti, Carlo Ripa di Meana, Giorgio Albertazzi, Bernardo Bertolucci, Dario Fo, Franca Rame, Adele Cambia, Maurizio Costanzo, Francesco Rosi, Umberto Eco, Stefano Rodotà…
Lo chiedo, sommessamente a Maurizio Belpietro e a Mario Calabresi, a Virmian Cusenza e a Ferruccio De Bortoli, a Vittorio Feltri e a Giuliano Ferrara, a Umberto La Rocca, Ezio Mauro, Antonio Padellaro, Alessandro Sallusti, Luca Telese, a tutti noi: è così difficile per una volta accorrere noi per dire non tanto, non solo a Marco, di bere una goccia d’acqua; quanto, piuttosto, che quella battaglia per la legge, il diritto, la legalità è la nostra battaglia?
In queste ore ho ragione di credere che al sito del Quirinale siano giunte molte lettere di persone preoccupate, inquiete, che chiedono al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano un gesto, una parola in coerenza con quello che prima e dopo la sua elezione ha ritenuto di fare e di dire; questi gesti, queste parole, cosa aspettano per essere dette, fatte? E gli altri? Renato Schifani e Gianfranco Fini, Mario Monti, Silvio Berlusconi, Pierluigi Bersani, Pierferdinando Casini, Antonio Di Pietro, Beppe Grillo, Francesco Storace, Nichi Vendola (li si cita in ordine alfabetico); e tutti gli altri? Sono 630 i deputati, sono trecento e passa i senatori. Di tutti loro, nessuno…? E i sindaci? Cosa aspettano Luigi De Magistris, Marco Doria, Piero Fassino, Virginio Merla, Giuliano Pisapia, Massimo Zedda?
Probabilmente esagero, ma in queste ore, da ore, non faccio che ripetermi la poesia del pastore protestante tedesco e teologo Martin Niemoller.
“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari,
e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei,
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
e io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare”.
Dunque? Lasciare Pannella solo, nella sua denuncia?