di Valerio Refat
Mentre quello che volge al termine è destinato a rimanere nella memoria collettiva come uno degli anni più neri dell’economia italiana, emergono nuovi dati che fotografano in maniera inequivocabile l’entità della crisi nella quale è sprofondato il Paese. Un pozzo nero che, negli ultimi due anni, ha divorato 700 mila posti di lavoro, tanto da ribaltare in maniera del tutto inattesa la proporzione tra emigrazione ed immigrazione, sulle ali di una tendenza che si sta consolidando nelle nazioni dell’area mediterranea più colpite dalla crisi del debito.
L’ultimo rapporto sulle immigrazioni presentato oggi dall’Ismu ha messo in luce che l’aumento delle presenze straniere in Italia nel 2011 si è fermato ad appena 27.000 unità (+ 0,5 per cento), a fronte dei 50.000 connazionali che hanno abbandonato la Penisola (+ 9 per cento). Di fatto, il numero degli italiani residenti all’estero ha raggiunto quota 4,2 milioni, contro i 5,4 milioni di stranieri, tra regolari e clandestini, che vivono in Italia. Se dal 2002 al 2009 il nostro Paese aveva accolto fino a 500.000 migranti l’anno, i primi vistosi segnali di rallentamento si sono palesati nel 2010, quando la crescita delle presenze straniere è calata al di sotto delle 70.000 unità. Sono decine di migliaia i soggetti, provenienti soprattutto dall’Europa Orientale, che, a causa del tracollo dell’edilizia, hanno ripreso la via di casa o si sono trasferiti nei Paesi nordici.
La crisi ha modificato profondamente la mappa dell’immigrazione globale. Se prima del 2010 l’80 per cento dei migranti si muovevano dai Paesi poveri e disagiati del sud del mondo verso le aree ricche del nord, oggi soltanto un terzo degli spostamenti segue tale direzione, mentre i restanti due terzi sono equamente divisi tra le nazioni più povere e quelle emergenti. Crescono i flussi verso Sudamerica, Africa subsahariana e Turchia, mentre l’Europa mediterranea, schiacciata dalla crisi, ha smesso di rappresentare una meta appetibile per chi è in cerca di un’occupazione, ad iniziare dalla manodopera locale, in prevalenza giovane e qualificata.
In Spagna, dove il 26 per cento della popolazione attiva non ha un lavoro, 138.000 persone hanno deciso di trasferirsi altrove, in particolare in Sudamerica o in Germania. Un anno fa erano meno di 50.000. Continua a crescere il numero dei portoghesi che, stremati dalla crisi, emigrano nelle ex colonie Angola, Mozambico e Brasile. Si tratta per lo più di ingegneri, medici e dirigenti ormai esclusi dal mercato del lavoro lusitano, soffocato dalle misure di austerità promosse dal governo di Pedro Passos Coelho. La musica non cambia per i greci, i quali scelgono di cercare fortuna in Australia e nei Paesi europei meno penalizzati dalla crisi, come Svezia e Germania.
Proprio a Berlino e dintorni si assiste ad un vero e proprio boom dell’immigrazione che sembra riportare indietro di molti anni l’orologio della storia. Nel primo semestre 2012 la presenza straniera nella locomotiva d’Europa è aumentata di 182.000 unità, quasi il 35 per cento in più rispetto al 2011. La crescita riguarda soprattutto gli arrivi dalla Grecia (+ 78 per cento), dalla Spagna (+ 53 per cento) e dal Portogallo (+ 51,5 per cento). E tutto lascia pensare che, molto presto, l’immigrazione italiana possa raggiungere e superare tali vette.