Leggo l’intervista di Ilaria Cucchi al quotidiano La Repubblica e ancora mi stupisco e imparo. “Sono stanca, ma vado avanti, lo faccio per Stefano”. “Un piccolo passo avanti verso la giustizia”. “ Ho fiducia nei giudici”. Queste frasi hanno il potere di svegliare dall’assuefazione informativa noi tutti che leggiamo e scriviamo, perché è molto rapido, quasi non lo si avverte, il passaggio dalla condivisione all’archiviazione, nel senso che “quel che si poteva fare è stato fatto, pensiamo ad altro”. Rientrare nella normalità non è possibile, questo ci vuole dire Ilaria, non chiede aiuto ma giustizia allo Stato. Nella prossima udienza saranno discusse le analisi e le conclusioni dell’ultima perizia ordinata dal tribunale. La discussione sarà infuocata come in tutti le fasi dibattimentali che vedono di fronte i pareri non le verità, perché spesso opposte, dei medici. Occorre però sottolineare come nella lunga corsa ad ostacoli verso l’accertamento di fatti e contro l’occultamento delle responsabilità, siano stati compiuti significativi passi avanti. Finalmente è stato accertato, a dispetto di quanto formulato nell’inchiesta e nelle fasi iniziali del processo, che Stefano Cucchi non si è spento da solo all’ospedale Pertini di Roma, che le fratture alle vertebre e all’osso sacro non erano precedenti al suo arresto, che sono riconducibili invece ai giorni della sua consegna e della sua degenza. “Gli agenti” di quelle fratture, violente o incidentali che siano, vanno ricercati in quei luoghi, siano essi persone fisiche o scale di cemento. Ancora: Stefano è morto di fame e di sete, conclude con certezza la perizia. E’ un’accusa durissima che non assolve nessuno, anzi aggrava la posizione di tutti quanti lo ebbero in custodia. Perché, se medici o infermieri non capirono il suo stato di totale abbandono e non lo curarono, nessuno ci ha ancora chiarito quali fossero le condizioni di salute di Stefano quando fu ricoverato e del resto, se stava bene,come si è detto, perché ricoverarlo?
Per questo Ilaria crede ancora nella giustizia e aiuta un po’ tutti noi a crederci, e di questo dobbiamo ringraziarla. Il suo percorso doloroso e instancabile deve essere anche il nostro, ma la fatica vera, quella che ti rende insopportabile la normalità, è sola sua. Perciò non stanchiamoci di scrivere e di leggere della storia di Stefano Cucchi, morto perché affidato alle mani dello Stato.