I soliti guastafeste di chiara fede comunista vanno blaterando da anni che il falso in bilancio non è più reato. Nulla di più falso. Ci sono infatti ben due articoli del codice civile, entrambi ugualmente criptici, che puniscono blandamente chi falsifica i bilanci: da un lato ci sono le false comunicazioni sociali sic et simpliciter per i semplici falsari (art. 2621c.c.), e dall’altro le false comunicazioni dannose (che comportano un danno patrimoniale per la società) per i falsari più cattivi (art. 2622 c.c.).
Il primo reato è una contravvenzione (reato bagatellare), perseguibile d’ufficio dalla polizia giudiziaria, e punibile esclusivamente con dolo specifico, cosa che dal 2002 fa rivoltare nella tomba il povero Antolisei e tutti i padri del diritto penale. Ma quelle sulla contravvenzione punibile con dolo specifico sono elucubrazioni per insigni giuristi che annoiano in genere anche i lettori più impegnati e appassionati.
Il secondo invece è un delitto (reato più grave) perseguibile d’ufficio se la società è quotata in borsa, o a querela di parte (la querela si usa di solito per le ingiurie tra parenti serpenti) se la società non è quotata. Quasi superfluo soffermarsi sul dato che di querele da parte del socio danneggiato se ne sono viste ben poche: i panni sporchi di solito di lavano in casa e anche un socio adirato cerca di evitare lo strepitus fori…
Se tentiamo di leggere le due norme, si verifica più o meno quello che accade quando cominciamo a leggere uno di quei saggi noiosissimi destinati ad impolverarsi per mesi sul comodino. Giunti faticosamente al secondo rigo, smettiamo di leggere e lo mettiamo da parte. Gli articoli 2621 e 2622 sono lunghi e farraginosi, ed essendovi una proporzione diretta tra la chiarezza delle norme e il grado di adeguamento dei destinatari, non possiamo stupirci se il falso del bilancio sia uno sport tanto praticato nel Belpaese. Le norme sulle false comunicazioni sociali sono una corsa ad ostacoli anche per i giudici, con la conseguenza che il falsario punito è più raro del famoso uomo che morde il cane. Chi l’avrebbe mai detto?
Ma noi, sprezzanti del pericolo, ci avventuriamo comunque in una malagevole esegesi del testo. In sintesi, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori rischiano un’archiviazione, un’assoluzione o una prescrizione, se falsificano le comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, e a condizione che il falso comporti una sensibile alterazione della rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società.
Molti si lamentano della ritrosia degli imprenditori stranieri ad investire da noi. Ma pochi considerano che questa ritrosia nasce dalla consapevolezza che la normativa italiana consente un falso in bilancio che passa per lecito. Cioè sotto una certa soglia dai contorni non bene definiti, il bilancio falsificato non è reato. E qui c’è anche il paradosso: un legislatore che non si fida apertamente dei giudici (quello del 2002) affida ai giudici il compito arduo di misurare la falsità del bilancio e di decidere se il bilancio falso è punibile o meno.
Dunque la situazione è questa: solo in Italia esiste un falso in bilancio che non è punibile. Come dire: falsificate pure, ma senza esagerare! Ora possiamo immaginare la faccia dell’imprenditore tedesco che lo viene a sapere, sapendo già che in Italia ci sono anche una corruzione da repubblica delle banane ed un altro imprenditore votato all’estorsione e alla concorrenza sleale come la Mafia spa. Insomma, bilanci falsi, criminalità organizzata di tipo mafioso e corruzione sono specialità italiche di cui possiamo andar fieri. C’è tutto quanto basta per tenere a bada uno straniero che voglia investire.
Certamente per combattere la corruzione è stata faticosamente approvata una complessa normativa dalla dubbia efficacia; sarebbe stato più semplice riesumare il falso in bilancio (depenalizzato di fatto, diciamolo), in sintonia con le direttive comunitarie che richiedono la “veridicità” dei bilanci, non la loro “falsità entro certi limiti”. È appena il caso di far riferimento allo stretto rapporto tra falso in bilancio e corruzione. Le tangenti si possono pagare solo dopo aver opportunamente ritoccato i bilanci, sottraendo imponibile al fisco e creando gli appositi fondi neri.
Infine, non possiamo tacere una ultima riflessione. Altrimenti ci sarebbe il rischio di entrare nel coro mistificatore dei soliti guastafeste di sicura fede bolscevica. Si è detto che esiste un falso sotto soglia che non costituisce reato. È vero invece che il legislatore del 2005, in preda ad un inarrestabile furore sanzionatorio, ha deciso di punire il falso sotto soglia con sanzione amministrativa, sanzione che spesso risulta più inesorabile di quella penale, soprattutto se si tratta di un reato bagatellare. Organo deputato ad infliggere tale sanzione è il Prefetto. Inutile dire quali assurdi problemi di raccordo tra autorità giudiziaria e amministrativa siano sorti. Poi è un vero peccato che la sanzione edittale sia stata espressa in quote, rendendo la norma del tutto inapplicabile. Una sanzione espressa in quote, di cui non è dato sapere il valore, da applicare a una persona fisica… Ma se le quote riguardano le persone giuridiche, è come punire un eunuco con l’evirazione. Fatto sta che non ci è giunta voce di un solo Prefetto che abbia applicato la sanzione amministrativa per il falso in bilancio. Quando il diavolo ci mette la coda!