BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

E’ di Lea Garofalo il corpo ritrovato in Brianza

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di Marika Demaria
Avere venti anni significa essersi appena lasciati alle spalle il mondo scolastico ed apprestarsi a vivere una nuova fase della vita, sia essa accademica o lavorativa. Significa uscire il sabato pomeriggio per lo “struscio” nelle vie del centro della propria città, con le amiche o mano nella mano con il proprio ragazzo. Significa divertirsi, guardare al futuro, lottare per costruirselo, per arrivare lì, a raggiungere i propri sogni. Il 4 dicembre una ragazza di Petilia Policastro, un paesino del crotonese, ha compiuto 21 anni. Si tratta di una giovane che non sta vivendo la normalità della vita, ma che si sta comportando in maniera eccezionale, speciale: Denise Cosco.

Il suo nome negli ultimi mesi è rimbalzato sulle pagine dei quotidiani, all’interno dei servizi dei telegiornali nazionali: è lei che con le sue denunce, con le sue deposizioni in aula, ha dato un nome, un cognome, un volto agli assassini di Lea Garofalo, sua madre. Ma quelle persone Denise le conosce molto bene, da quando è nata: perché una di loro è suo padre Carlo, altre due sono gli zii Vito e Giuseppe Cosco. Poi ci sono Rosario Curcio e Massimo Sabatino e infine lui, Carmine Venturino, con cui era nata una simpatia. Denise ha raccolto a piene mani l’eredità che le ha tramandato sua mamma: il coraggio della denuncia, di ribellarsi al sistema della ‘ndrangheta. Hanno vissuto anni di solitudine, in alcuni periodi privati anche delle loro generalità e per questo non più libere cittadine, non più vive. Come se non esistessero, come se fossero invisibili. Ha fatto una scelta coraggiosa Lea Garofalo, figlia di un boss della ‘ndrangheta, cresciuta in una famiglia in cui vige la regola che “il sangue si lava con il sangue”, innamoratasi a 14 anni di un ragazzo con cui sperava, a Milano, di poter finalmente costruire una famiglia vera, non svuotata del suo significato e riempita del senso delle parole mafiose. Così non è stato, ma Lea Garofalo non c’è stata. Ha denunciato, perché lei a sua figlia Denise voleva regalare un futuro migliore, diverso. Ha preso per mano la sua creatura e fino all’ultimo giorno della sua vita ha respirato per lei, per quella ragazza che era nata quando aveva 17 anni e con cui era cresciuta come se fossero sorelle.

L’epilogo ha una data ben precisa: 24 novembre 2009. La 35enne testimone di giustizia quella sera, a Milano, sarà rapita, torturata dai suoi aguzzini che volevano sapere cosa lei avesse raccontato di compromettente (per loro) ai Carabinieri, uccisa e portata in un terreno a San Fruttuoso, a Monza.  I risultati dell’esame del Dna mutano l’epilogo – ma non certo la sua brutalità – e raccontano che Lea Garofalo non fu uccisa con un colpo di pistola alla nuca e sciolta in cinquanta litri di acido, ma strangolata e che il suo cadavere fu bruciato. I resti ritrovati di recente in quel terreno, così maledettamente vicino al cimitero di Monza dove il primo aprile è stata deposta una targa in memoria di Lea Garofalo quale emblema di coraggio e di lotta per la legalità, appartengono alla donna. La radiografia dei denti combacia con un referto analogo in possesso della figlia Denise Cosco.

La giovane, che vive sotto protezione, potrà avere un feretro da accarezzare, potrà donare a sua mamma un funerale degno di tale nome e una sepoltura che finalmente regali a Lea la meritata pace e a Denise la serenità di aver avuto giustizia. Una parola che è stata possibile scrivere solo grazie al coraggio della ventunenne, che con forza leonina ha messo in gioco la sua esistenza, ha rivissuto la propria vita raccontandola dietro un paravento in un’aula di tribunale, ha puntato il dito contro i carnefici di sua madre. Denise ha vergato una pagina fondamentale dell’antimafia, è  l’emblema della coerenza, della determinazione, dell’amore che una figlia prova nei confronti della propria madre. Quella pagina Denise l’ha scritta e la sta continuando a scrivere. Ma la lotta alle mafie non è opera di navigatori solitari come ci ricorda don Luigi Ciotti e quindi la giovane va accompagnata, va sostenuta, va amata, va protetta. La sua lotta deve essere la lotta di tutti noi. Solo così Denise potrà finalmente, un giorno, spiccare il volo alla ricerca della sua libertà.

www.liberainformazione.org


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