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Stampa e politica. Ne’ carcere, ne’ calunnie

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Venerdì sera nel circolo di Rifondazione “Maria Zevi” in via Boiardo 10 (San Giovanni), sarà proiettato e discusso un film sul secolo di Pietro Ingrao, l’ex presidente della Camera con  “diritto al dubbio” e “vocazione politica” come civiltà. Pensavo: ecco un politico che non avrebbe votato il carcere per giornalisti diffamatori. Non per indulgenza verso i diffamatori, ma per prudenza verso una professione spesso sulla lama del rasoio tra dovere della verità e tentazione alla calunnia.  Dice Anna Finocchiaro che la legge ora ha perso questa prudenza, acquista carattere di “rappresaglia”, sicché l’unica cosa è metterla sul binario morto e aspettare tempi migliori per una legislazione serena: né figliastra del codice fascista, né succube del malcostume di giornalisti convertiti alla cultura nazista dell’amico/nemico. E’ questa cultura schmittiana che ha corrotto quella parte della stampa che confonde l’informazione col pugnale partigiano contro manigoldi politici. Ci batteremo perché questo carcere sia precluso, ma senza leggi ad personam. Precluso per tutti, giornalisti o stagnini. Ai manigoldi devono pensare i giudici. La libertà di stampa non si garantisce  col diritto a diffamare, ma con la lotta al monopolio, al conflitto d’interesse, alle Authority imbelli, alle proprietà ricattatorie, al servilismo delle redazioni. Ricordando che, al limite, nuoce meno alla civiltà una parola impropria che un bavaglio.


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