Mi piacerebbe comunicare anche ai colleghi lettori di “Articolo 21” le piccole cose che, al di là del grande fatto politico in sé, hanno reso per me bella la giornata delle primarie, nei gazebo, nei capannelli e fino a tarda notte davanti ai televisori. Ne ho scritto, per la carta stampata, a un mio giovane corrispondente da Rimini che mi parlava del lavoro fatto… da lui e da tutti i volontari renziani della riviera adriatica per assicurare il successo a quella che a loro sembra la via del rinnovamento. Ne scrivo brevemente anche per il nostro sito, perché Articolo21, associazione apolitica – o, preferirei, pluralista – , è nata per garantire libertà d’espressione e trasparenza nel rispetto delle regole. E cosa più delle primarie unisce regole, trasparenza e libertà d’espressione?
Dicevo al mio interlocutore che anch’io, che ho votato per Bersani e lo rivoterò domenica, ho ritrovato, dopo la lontana esperienza dell’Ulivo, la gioia di riassaporare la bella politica: che sarebbe stata ancora più bella senza alcuni toni da faida di comune. In ogni a caso, a tutti , protagonisti e attori, va il mio grazie di cittadino, per averci ridato una giornata di luce, che solo un necroforo della democrazia come Grillo poteva veder popolata da 3 milioni e mezzo di morti. Mi rinfranca la prospettiva che, col secondo turno, potremo sentir discutere in tv i due programmi, quello di Bersani e di Renzi, che nessuna massaia è andata a leggere in rete, dove si fa la democrazia delle parole senza corpi. E ce n’erano tante di massaie e di lavoratori, di ragazze e giovani, di pensionati e adulti in fila al mio gazebo.
Con loro valutavamo i motivi che ci rendevano felici, e della partecipazione popolare, che ha lasciato Grillo e gli altri distruttori con la bocca sbavante; della capacità di Renzi di annientare l’antipolitica in politica nuova; dei non inattesi risultati di Vendola, Puppato e Tabacci, tre testimoni di quel pluralismo culturale che, coalizione a parte, è la stessa ragion d’essere di un partito come il Pd. Perciò dico brava a Rosi Bindi che ha respinto, nello studio un po’ convulso di Bianca Berlinguer, la proposta di superare il Pd e dar vita con Sel e Psi a un “contenitore nuovo”: sarebbe la fine di un partito plurale, per una nuova chiesa monoteista e monoculturale.
In fila, ho ritrovato la mia adolescenza nei ragazzi diciottenni che avevano dimenticato la tessera elettorale a casa e venivano pregati di farvi un salto: così si apprendono i rudimenti della vita pubblica. E ho visto qualche anziano (lo dico al lettore Dominique Lafete, che da Parigi ci scrive di non aver votato per non pagare la “tassa voto” di 2 euro), versarne non 2 ma 10, 20, a favore, diceva, di ragazzi che forse li avevano lasciati in altri jeans. I novecenteschi come me, con la radiolina, e i giovani con ordigni più aggiornati, annunciavano che la candidata alle primarie del Pdl Giorgia Meloni stava visitando il seggio Pd di via dei Giubbonari, “per complimentarsi e imparare”, diceva: testimonianza del valore pedagogico della democrazia, così rivoluzionaria rispetto alle formule delle cosche, partitocrazia compresa.
Captavamo i complimenti di Maroni al Pd e a Bersani (“grande segretario”, lo definiva in serata Paolo Mieli), mentre rivendicava per sé il governo della Lombardia tenendosi alla larga dai pazzi di Barcellona, trombati nelle urne dove i più non hanno voluto confondere l’autonomismo con la rottamazione alla Flores d’Arcais (votare Renzi per sfasciare il Pd e poi Grillo per sfasciare il parlamento). Scritto sui giornali, non sulle pareti del manicomio. Peccato che il presidente Monti e Fabio Fazio abbiano scelto, proprio alla fine di una giornata come questa, di inserire una “disponibilità” del professore a un secondo governo, omettendo che per governare occorre il sì del parlamento. Un parlamento che le primarie, speriamo seguite da altre, battezzano e mondano di non pochi peccati capitali.