Da molti anni il mondo delle fedi presenti nel nostro paese si interroga su quanto il pluralismo religioso sia effettivamente rappresentato, raccontato, ospitato dall’informazione generalista e dal servizio pubblico, ma altresì dai quei programmi di intrattenimento che, in qualche modo, “producono” informazione.
Convegni, incontri e dibattiti, promossi anche nel passato da credenti e non, hanno spesso denunciato la scarsa propensione dei media italiani ad una visione plurale e attinente al contesto in cui operano.
Un limite tutto italiano parrebbe, se guardiamo al panorama europeo.
L’Europa nasce pluralista sul piano religioso e culturale e l’Italia sta scoprendo la complessità del pluralismo confessionale e sempre più deve misurarsi con nuovi interrogativi posti dalla presenza sempre più visibile di comunità di fede diverse da quella storicamente maggioritaria.
Il sistema dell’informazione fatica ad assumere questa dimensione, al plurale, che il nostro paese sta attraversando e che oggi sarebbe fuorviante definire una novità; spesso l’informazione religiosa appare condizionata da un’attenzione quasi esclusiva alle istituzioni della Chiesa cattolica, faticando anche a cogliere la complessità di scelte e orientamenti che pure si esprimono all’interno del mondo cattolico nel suo complesso.
La società italiana e con essa il mondo dell’informazione devono oggi porsi di fronte a una sfida nuova.
Ma come affrontarla?
Quali spunti ci offre e ci indica l’esperienza di altri paesi europei?
Quali possono essere i linguaggi e le forme di un’informazione religiosa attenta al pluralismo delle fedi e delle culture?
Questi interrogativi dovrebbero essere alla base di quello che viene definito il servizio pubblico.
Anche di questi temi si discuterà ad Acquasparta (Tr) in occasione dell’Assemblea annuale di Articolo 21 e che vedrà impegnati, nella cittadina umbra dal 9 all’11 novembre, professionisti del settore informativo, politici e intellettuali. Il motto di quest’anno è infatti: “Ri-pensiamo il servizio pubblico”.
Eppure, in questo paese ricco di tradizioni culturali e spirituali è ancora necessario organizzare campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica perché il sistema della comunicazione di massa possa, nei fatti, assumere il criterio del pluralismo culturale e religioso.
In un sistema della comunicazione compiutamente libero e democratico ciò dovrebbe costituire una ovvietà.
Tuttavia le scelte editoriali e redazionali vanno spesso in una linea del tutto opposta: quando c’è da discutere di crocifissi o di bioetica, di fondamentalismi o di tossicodipendenze, di educazione o di omosessualità, la prima e quasi sempre l’unica voce che viene raccolta è quella dei vertici della Chiesa cattolica.
Per i lettori e gli spettatori, l’orizzonte delle religioni si esaurisce nelle posizioni della Chiesa con la C maiuscola: sempre e solo una, sempre sottintendendo cattolica, sempre ignorando altre espressioni della tradizioni cristiane, altre chiese insomma. Raramente, per essere benevoli, la voce viene data ai musulmani, ai buddhisti, agli induisti, per citare solo alcune realtà presenti sul nostro territorio.
Così, su temi dirimenti per le libertà individuali, la parola solitamente viene negata a chi si definisce non credente o “laicamente credente”. Certo qualche eccezione esiste o è esistita: capita anche che si possa decidere di dedicare un po’ di spazio “al vescovo gay della Chiesa anglicana” o qualche riga al patriarca della Chiesa ortodossa russa che si oppone alla visita del papa a Mosca. Non sono tuttavia eccezioni rilevanti e soprattutto non sono pertinenti.
Quanto alle fedi, altre, l’atteggiamento non è sostanzialmente diverso: dell’islam si parla in assoluta prevalenza in funzione del fondamentalismo islamico; dell’ebraismo quasi sempre riguardo alla Shoà, all’antisemitismo o alla questione mediorientale.
Quanto alla programmazione televisiva Rai è sotto gli occhi di tutti il fatto che Protestantesimo e Sorgente di Vita siano due “finestre” felici, se prese in considerazione rispetto alla pluralità di voci presenti nel nostro paese, mentre solitamente le rubriche religiose sono ad “appalto esclusivo” della religione cattolica.
D’altra parte – ed è lo sbilanciamento più grave – non c’è fiction o talk show in cui la presenza cattolica non sia solidamente garantita e presentata come quella dei “cristiani” o addirittura dei “credenti”.
Per il resto un vuoto ed un silenzio che non si limitano ad attentare ad un elementare principio di pluralismo: ignorare il mondo delle fedi (plurale) per ricondurre tutto alla fede cattolica (singolare) significa perdere molte delle chiavi di comprensione del mondo di oggi.
Che cosa è l’Europa senza il contributo della tradizione e dell’etica protestante? Che cosa è il Mediterraneo, ignorando il contributo culturale e spirituale dell’islam o dell’ebraismo? E così via.
Un sistema della comunicazione disattento al pluralismo religioso e sociale non è solo professionalmente scorretto. È anche culturalmente misero.
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