E ora i due contendenti vadano a Taranto, vadano dove la ‘più grande acciaieria d’Europa’ chiude i battenti per aver inquinato interi quartieri e avvelenato lungo il corso di decenni la vita dei cittadini. A coprire il tutto, ancora una volta, l’imbroglio, il complotto e il trafugamento delle prove delle illegalità criminali. Cinquemila lavoratori, adesso, come era abbastanza evidente fin dalle prime battute di questa classica storia italiana e meridionale, rischiano il posto, finiranno, a meno di miracoli, per strada. La Fiom chiama all’occupazione della fabbrica, e ai voglia ora a dire che sono estremisti, che altro si può fare in queste condizioni?
L’alternativa falsa e barbara che è stata proposta in questi mesi agli operai e ai cittadini di Taranto – o la salute o il lavoro – è figlia della regressione tribale nelle relazioni fra capitale e lavoro, fra imprenditori e lavoratori, di questi anni. Quasi che unica condizione per conservare il ‘posto’ sia quella di rimetterci la vita, la propria e quella dei propri concittadini, figli, familiari. Siamo di nuovo ai primi del ‘900.
Quando si guarda con giusta preoccupazione all’ascesa di certe forme di populismo, di disprezzo per la classe politica, si ripensi a questo: agli impianti di Taranto che producevano acciaio e tumori per salari ridicoli confrontati alle immagini degli yacht, delle ville, delle orgette e orgettine che ci hanno propinato in questi mesi i media nazionali. Ecco, allora si capirà qualcosa dei sentimenti diffusi, dell’inefficacia delle parole e della retorica. Diritti, socialismo, popolarismo, innovazione: chiacchiere? Rischiano di esserlo se i gruppi dirigenti della sinistra – sì, la sinistra – di questo Paese non prendono in mano situazioni emblematiche e complesse come quelle dell’Ilva di Taranto e non ci mettono mano.
Non se ne esce con un po’ di cassa integrazione. E nemmeno come hanno fatto i soliti comodi commentatori del Corsera, prendendosela con la magistratura pugliese che, di fronte a violazioni enormi, è intervenuta. Se i giudici esercitano questo tipo di supplenza è perché la politica o latita o è connivente culturalmente o è corrotta. Questo il quadro. Difesa della salute, qualità della vita, occupazione, tutela dei diritti, innovazione tecnologica, sono parole vane se non diventano forma di governo. L’Ilva è un concentrato dei mali italiani: manager cialtroni che nascondono le prove delle loro malefatte, politici conniventi, governi latitanti e complici delle sventure di intere popolazioni.
Altro che ricerca industriale, l’unico obiettivo è stato, come sempre, quello di ottenere il profitto migliore a spese delle cosidette ‘persone normali’, lavoratori e cittadini. Cosicché vale a questo punto dire almeno un paio di cose. In primo luogo se è vero che ci sono fasce di conservatorismo e di tutela parassitaria nel mondo del lavoro, l’unica risposta che è stata data dalle classi dirigenti di fronte a un simile stato di cose e ai paralleli processi di globalizzazione dell’economia e dei capitali, è stata quella di una deregulation sfrontata e mostruosa che sta cancellando la vita di due generazioni e il progresso civile ed economico dei primi cinquant’anni del dopoguerra. Dunque i diritti fondamentali sono garanzia della modernizzazione della società nel suo insieme. Su un altro e conseguente versante infine, giova ricordare che anche sull’Osservatore romano è stato scritto che quando il precariato uscirà dal vittimismo e acquisirà coscienza di classe diventerà un soggetto in grado di rivendicare i propri diritti. Chissà se Renzi e Bersani sono d’accordo.
Quel che è certo è che non si uscirà da questa crisi solo con la ‘banda larga’ per tutti, considerato che ben altre bande hanno scorrazzato in lungo e in largo in questo Paese negli ultimi decenni.
*tratto da Il mondo di Annibale