di Nadia Redoglia
“O arabi, noi vi potremmo un giorno perdonare per aver ucciso i nostri figli, ma non vi perdoneremo mai per averci costretto ad uccidere i vostri”. Stante il riferimento che fece la Nirenstein il 21 gennaio 2009 a Radio radicale (cfr Wiki) questa frase è da imputare alla (fu) premier israeliana Golda Meir. A parte la (sgradevole) paradossale ipocrisia dal sapor biblico della decima piaga, colpisce il vocativo “O Arabi”.
Arabi? Certo che sì. All’epoca Meir (anni ’70) il mondo era ufficialmente quanto sinteticamente catalogato in “bianchi, gialli (i rossi, cfr. pellirosse, da mo’ stavano già ufficialmente estinti) neri, arabi”. Eppure, a distanza di 40 anni, certe espressioni (pur nel frattempo palesemente mutati i parametri di civiltà) nel 2009 ancora tornavano buone. E buone tornano ancora nel 2012 d.C.!
Stiamo al punto fermo, infatti, che gli israeliani, mentre proseguono ad ammazzare bambini, insistono a non perdonare ai loro genitori d’essere costretti a farlo: noi, a oggi, la stiamo ufficialmente prendendo ancora per buona!
Tutto ciò proseguirà nella sua “naturalezza” fino a che gli israeliani -e i loro supporter- non capiranno che gli arabi oggi sono giusto i cittadini dell’Arabia Saudita e i palestinesi, da sempre, cittadini della Palestina…
Fino ad allora non riusciremo a squarciare l’orrore umano in cui siamo tutti (mica solo “gli arabi”!) protagonisti viventi incuranti di “comparse” manco identificate che, vive o morte, bambini o vecchi, per noi fa uguale.