Monti, l’Italia e la sfida del domani

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di Roberto Bertoni
Mentre il centrosinistra celebra il primo turno (il secondo si svolgerà domenica prossima) delle Primarie per la scelta del candidato Premier, la Camera approva una Legge di Stabilità profondamente diversa da quella varata, circa un mese fa, dal governo e il Paese si interroga sui risultati conseguiti da un esecutivo tanto bizzarro quanto, si spera, irripetibile. Le tre cose, apparentemente slegate l’una dall’altra, sono in realtà consequenziali perché insieme compongono il quadro politico, presente e futuro, dell’Italia.

A tal proposito, ad un anno esatto dalla nascita del governo Monti, è opportuno tracciare un primo bilancio di un’esperienza che senz’altro ha avuto dei risvolti positivi – primo fra tutti la nostra ritrovata credibilità internazionale – ma che tuttavia si è rivelata gravemente insufficiente sia dal punto di vista dell’equità sociale sia sul piano, importantissimo, della crescita e dello sviluppo economico. All’insediamento, infatti, il professor Monti aveva assicurato che l’azione sua e dei suoi ministri avrebbe seguito tre direttrici ben precise: il rigore, l’equità e la crescita.

Di rigore, in questi dodici mesi, se ne è visto anche troppo e spesso, mi spiace dirlo, a senso unico; l’equità e la crescita, al contrario, sono rimasti solo buoni propositi, accompagnati dalla meritoria azione di alcuni membri dell’esecutivo e da una serie di riforme che meritano di essere non smantellate, come propongono le forze più radicali dei due schieramenti, ma senza dubbio riviste e corrette nel segno di un concetto che il berlusconismo ha accantonato quasi con disprezzo e il montismo non ha avuto la forza di recuperare: la solidarietà sociale.

Un’efficace rappresentazione di quanto ho appena detto l’abbiamo avuta nei giorni scorsi, con l’accordo sulla produttività siglato tra il governo e le parti sociali ma senza il consenso della CGIL, in base al tragico mito del decisionismo e alla diffusa “teoria dell’efficienza”, secondo la quale, al termine di qualunque incontro, bisogna decidere a prescindere, senza cercare in qualche modo di trovare un punto d’incontro con chi dissente e senza comprendere che la scomparsa della concertazione dai tavoli di trattativa è una delle ragioni principali della disillusione e del disincanto che hanno minato la fiducia dei cittadini nella politica e nelle istituzioni.

Nel caso specifico, crediamo che l’accordo contenga degli aspetti positivi (ad esempio, lo spostamento del baricentro della contrattazione verso l’azienda e il territorio) ed altri assolutamente negativi (su tutti, a mio giudizio, la proposta di consentire la videosorveglianza sui posti di lavoro, attualmente vietata dallo Statuto dei lavoratori), da modificare in nome del rispetto del valore imprescindibile della persona, prima ancora che del lavoratore.

Pensiamo, difatti, che l’unico modello di crescita e di sviluppo oggi sostenibile sia quello introdotto tanti anni fa da Adriano Olivetti: un grande imprenditore ma, soprattutto, un grande uomo, un personaggio capace di andare oltre, di guardare al futuro, di contrastare ogni forma di chiusura e di conservatorismo e di porre l’essere umano al centro del proprio progetto industriale per favorirne l’affrancamento dal bisogno e la piena realizzazione sociale.

Per questo, al di là di chi le vincerà, siamo convinti che le Primarie del centrosinistra abbiano uno stretto legame con gli ultimi fuochi di un esecutivo che non può essere certo archiviato o considerato una parentesi ma del quale il prossimo Presidente del Consiglio dovrà portare avanti le politiche di sobrietà e rigore, rendere ancora più marcati gli spunti progressisti ed accantonare fin da subito la venatura di conservatorismo della quale, purtroppo, non si è potuto fare a meno, considerando i numeri parlamentari che sono stati chiamati a sorreggerlo.

In quest’ottica, abbiamo sempre sostenuto che sia auspicabile una vittoria di Bersani non solo per i princìpi morali e le competenze che tutti gli riconoscono ma, in particolare, perché è l’unico che può garantire una convergenza programmatica con i cosiddetti “moderati”, cioè con quelle forze di centro, saldamente costituzionali, che un domani dovranno tornare ad essere avversarie dei progressisti ma senza le quali, in un periodo delicato come quello che stiamo attraversando, non è possibile formare alcuna maggioranza né, tanto meno, un governo autorevole e credibile.

La sfida dell’Italia di domani, dunque, si basa su temi concreti che chi ha governato in questi anni ha quasi sempre ignorato: innanzitutto, il lavoro e il ruolo dell’Italia in Europa; in secondo luogo, ma non meno importante, la giustizia sociale; infine, altrettanto centrali, i diritti civili, la tutela dell’ambiente, la valorizzazione dell’istruzione e della formazione professionale e il riconoscimento della cittadinanza italiana ai figli di immigrati che nascono nel nostro Paese. Senza tralasciare il testamento biologico, una dura legge contro l’omofobia, una legge sul conflitto di interessi degna di una democrazia occidentale e la piena realizzazione delle pari opportunità, attraverso la valorizzazione della dignità e della soggettività femminile ed il contrasto al femminicidio (misura, quest’ultima, per la quale il Partito Democratico ha già presentato una proposta di legge, la cui prima firmataria è l’onorevole Sbrollini).

Non sappiamo, e a dire il vero non ci siamo mai posti il problema, quale sia il tasso di montismo necessario per realizzare questo programma, apparentemente banale eppure carico di insidie ed equilibri assai complessi da mantenere all’interno di una coalizione che – lo sappiamo fin da ora – sarà per forza di cose eterogenea. Sappiamo solo che, se i punti sopra elencati non dovessero trasformarsi in riforme concrete nel corso della prossima legislatura, l’Italia sarebbe inesorabilmente condannata al declino, trascinando nell’abisso i sogni, le speranze e le risorse delle nuove generazioni oppure condannandole all’esilio.
Non sarà affatto una sfida semplice, perché i guai del Paese – e direi di tutto il Vecchio Continente – sono innumerevoli e perché, in queste settimane, abbiamo già avuto modo di vedere quanto siano potenti ed organizzate le forze della conservazione che si stanno mobilitando al fine di impedire un’uscita in chiave progressista dalla crisi.

Non a caso, abbiamo scelto di affidare la nostra volontà di riscatto e di riscossa all’esperienza di Pierluigi Bersani, ben coscienti del fatto che le sue spalle larghe, da sole, non basteranno e che saranno più che mai necessari un impegno ed un’azione collettiva per porre fine alla barbara stagione del populismo e del leaderismo.


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