di Nadia Redoglia
Quand’ero piccola…Una volta si diceva così, quando avevi 12 anni, scolara di seconda media in collegio diretto da monache. A metà anno, cambiando città, fui iscritta alla scuola pubblica. Mi presentai in grembiule nero, colletto rigido e fiocco blu. Codini, calzette bianche al ginocchio, scarpe nere “da maschio”, cartella di cuoio. Mi accolse una classe di fanciulle truccate e vestite da “grandi”, perfino con le calze di nylon (!) e uno stuolo di ragazzi (classe mista?!) in jeans stravaccati sui banchi mentre smandibolando, lanciavano occhiatacce. Dal giorno dopo e per lunghissime settimane, per quanto smessi i panni da collegiale, ma pur sempre impacciata in casti abiti borghesi, fu l’inferno: sbeffeggiata, derisa, ridicolizzata, vessata. La maggior parte dei pomeriggi li passavo in lacrime. Poi, un giorno, mentre cercavo di riprendermi la cinta dei libri che si lanciavano da un banco all’altro, mi scaraventai verso l’ultimo possessore, prendendolo a botte. Da quel momento tutto finì. Ma eravamo tutti ancora piccoli, nonostante molti giocassero a fare i grandi…
Oggi nelle elementari si può (forse si deve?) essere già grandi, pare non esserci pace per chi invece vuole ancora giocare a fare il piccolo. Gli impulsi e gli effetti speciali sbucano vorticosamente da ogni dove, tele/web comandati, infiltrandosi nelle cellule dei nostri scolari: o ti adegui oppure soffri l’inferno, quello che, a differenza di una volta, ti ha già resettato ogni possibilità di poterne uscire e ti tortura fino al raggiungimento della morte che inevitabilmente scambi per liberazione. Così è avvenuto per il 15enne, non primo e purtroppo non ultimo, studente liceale romano. Il piccolo che non ce la faceva più!
A fronte di tali (e troppe!) persecuzioni che inducono al suicidio i “piccoli”, i “grandi”, istituzionalmente, socialmente, anagraficamente adulti, che stanno facendo per difenderli, proteggerli, educarli nel riprendersi i (sacri) ruoli di piccoli prima e di grandi, cammin insieme facendo, dopo?!