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La green economy può battere le ecomafie

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La seconda parte dell’inchiesta su legno e mafie internazionali
di Luca Scarnati
Iroko, abachi, palissandro, sono nomi esotici che forse ai più non dicono nulla. Sono le principali specie di legni tropicali, soggette a quel commercio illecito di cui abbiamo parlato nella prima parte dell’inchiesta, resoconto sui profitti delle mafie internazionali dal commercio illegale di legname. Uno dei problemi nel cercare di arginare questo traffico è che si tratta di legni difficili da distinguere, e ancor più difficile è capirne la reale provenienza, sfuggendo facilmente ai controlli.

Convenzioni internazionali e leggi nazionali cercano di porre fine ad un commercio che oltre ad arricchire la criminalità organizzata spoglia i paesi, di solito quelli più poveri, delle loro risorse naturali, contribuendo allo stesso tempo all’alterazione del clima planetario. Il Lacey Act è una legge USA del 1900 che vieta il traffico illegale di fauna selvatica e che nel 2008 è stata modificata per includere i vegetali e derivati, quali il legno e la carta, imponendo il divieto sul commercio di prodotti il cui prelievo sia illegale nel paese di origine. Altro grande produttore e importatore di legname è l’Australia, che ha appena emanato l’Illegal Logging Prohibition Bill, dai contenuti simili.

L’UE fa la sua parte, con un Piano d’azione per l’applicazione delle normative, la governance e il commercio nel settore forestale (FLEGT). Attualmente in via di applicazione il Regolamento comunitario si basa su Accordi volontari di partenariato (VPA) con i paesi produttori, prevedendo specifici protocolli per le importazioni, ora attivati con Ghana, Repubblica del Congo, Liberia, Repubblica Centrafricana e Camerun, mentre numerosi altri paesi sono in trattative. Per ogni paese UE è stata identificata una Autorità di Controllo (AC) che gestisca i controlli e diventi operativa entro il 2013.

In Italia per l’incarico di AC è stato indicato il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (MiPAAF). Già il Corpo Forestale dello Stato, alle dipendenze del ministero, gestisce una rete di controlli nei principali punti di frontiera per l’applicazione della Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione (CITES), dovrebbe quindi avere competenze e logistica adeguati. Dal mondo forestale italiano, per voce del Prof. Corona, presidente della Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale, arriva però la richiesta di accelerare il processo, attualmente fermo alle questioni formali, passando al più presto alla parte applicativa, così da “contrastare in modo significativo l’importazione di legname di origine illegale e indirettamente consentire di qualificare ulteriormente la industria italiana di trasformazione del legno alla luce di standard di sostenibilità ambientale e sociale, nonché di favorire una maggiore offerta interna di materia prima legnosa.”

Riconoscere alle frontiere la specie a cui appartiene il legname e soprattutto la provenienza è però come dicevamo il vero problema pratico, la cui soluzione è indispensabile per poter valutare la legalità della transazione oltre la documentazione presentata, la cui falsificazione, come scritto nella prima parte della nostra inchiesta, è uno dei principali strumenti delle ecomafie. Secondo i ricercatori il problema è risolvibile con metodi di analisi necessariamente strumentali, messi a punto attraverso specifici programmi di ricerca.

Tra questi Biodiversity International, un centro di ricerca internazionale su agricoltura e biodiversità con una sede italiana a Fiumincino, ha recentemente creato un programma triennale che prevede la sperimentazione e la messa a punto di metodologie basate sull’analisi del DNA per quanto riguarda il riconoscimento delle specie. Per risalire invece al luogo di provenienza è possibile ricorrere all’analisi degli anelli legnosi. Ogni tronco accrescendosi di anno in anno forma un susseguirsi di anelli di diversa grandezza a seconda delle caratteristiche meteorologiche dell’anno in cui si sono formati, dalla lettura di tutta la cerchia di anelli si può determinare una curva di accrescimento. Queste curve esprimendo il diverso accrescimento della pianta nel tempo in funzione del clima stagionale, sono caratteristiche di determinati andamenti climatici e quindi di luoghi specifici. In sostanza due tronchi con curve di accrescimento che si sovrappongono provengono dallo stesso luogo, avendo quindi a disposizione un data base adeguato è possibile rintracciare la provenienza del materiale. Altra opzione è di rintracciare nel legno determinate combinazioni di isotopi di carbonio, azoto o ossigeno che dal terreno si trasferiscono nei tessuti legnosi e che sono tipiche di specifici luoghi. Il grosso del lavoro, una volta sperimentati i metodi, sarà di renderli applicabili e diffonderli.

Una nuova prospettiva di Green economy si apre inoltre nei paesi interessati all’eliminazione del prelievo illegale del legname. Essa va oltre il semplice commercio lecito. La creazione di nuovi boschi o una loro gestione tale da favorire l’assimilazione di CO2, il principale gas responsabile dell’effetto serra e dei conseguenti cambiamenti climatici, può creare infatti crediti di carbonio, immettibili sul mercato globale. Ogni tonnellata di CO2 così assorbita crea un credito di carbonio, il cui prezzo sul mercato varia dai 10 ai 40 €. Il Protocollo di Kyoto prevede che quelle aziende che non siano riuscite a ridurre le proprie emissioni di CO2 secondo gli obblighi previsti, possano raggiungere le loro quote di riduzione acquistandole da soggetti, privati o pubblici, che ne abbiano da vendere. Si realizzano così due obbiettivi: la tutela dell’ambiente e lo sviluppo economico. E il flusso parte solitamente da paesi con economie non industrializzate, dove l’estensione dei territori e i costi di mano d’opera permettono di immettere sul mercato crediti di carbonio a prezzi vantaggiosi. Ma funziona anche all’interno di paesi come l’Italia, dove alcuni comuni del nord sono passati ad una gestione sostenibile delle loro proprietà forestali (che deve essere garantita per un numero minimo di anni, di solito 30), accumulando crediti che sono poi stati rivenduti in apposite aste.

Il sistema, che viaggia in parallelo allo scambio di crediti tra i governi, è per ora su base prevalentemente volontaria e manca secondo gli esperti dell’INEA (Istituto Nazionale di Economia Agraria) di una adeguata regolamentazione, ma è destinato, secondo gli stessi, a migliorarsi e a prendere piede soprattutto con la ridefinizione degli accordi internazionali sul clima prevista per il prossimo anno, aprendo così la strada ad un sostanziale settore di green economy.

La prima parte dell’inchiesta sulle ecomafie

Il mondo di Annibale


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