di Davide Maggiore
L’M23 si ritira da Goma. O forse no. Resta assolutamente incerta la situazione nelle regioni orientali della Repubblica democratica del Congo: secondo il capo di stato maggiore dell’esercito ugandese, generale Nyakayirima, il comandante militare dei ribelli, Sultani Makenga, avrebbe accettato di abbandonare il capoluogo del Nord Kivu, conquistato la scorsa settimana, “senza porre alcuna condizione”.
I guerriglieri, secondo questa ricostruzione, si ritirerebbero inoltre dalla cittadina di Sake, strappata anch’essa alle forze armate congolesi (FARDC), e interromperebbero la loro avanzata, teoricamente diretta alla stessa capitale Kinshasa, lontana centinaia di chilometri.
Fonti dell’ M23 hanno confermato alla stampa internazionale quanto sostenuto da Nyakayirima, secondo cui la decisione sarebbe arrivata dopo colloqui militari avvenuti nella capitale ugandese Kampala.
Lo stesso Makenga aveva anticipato il possibile epilogo nei giorni scorsi, in un’intervista esclusiva al settimanale francese ‘Jeune Afrique’, nelle stesse ore in cui un summit dei capi di Stato della regione (presenti, oltre alla Repubblica Democratica del Congo, Uganda, Tanzania e Kenya, ma non il Rwanda di Paul Kagame, accusato dall’Onu di sostenere i miliziani) aveva lanciato un ultimatum ai ribelli, intimando loro di abbandonare Goma entro il 27 novembre. Se non la pace, nell’est della Repubblica Democratica del Congo è stato dunque siglato almeno un armistizio? Probabilmente è presto per dirlo.
Secondo quanto affermano gli ugandesi, infatti, Makenga, che parlando a ‘Jeune Afrique’ aveva chiesto “più federalismo per risolvere i problemi del Nord Kivu”, potrebbe essere disposto ad una trattativa con i leader dell’Africa orientale, ma sul punto ha una posizione diversa da quella del capo politico di M23, Jean Marie Runiga.
Appena dopo il vertice di Kampala, infatti, il quotidiano transalpino ‘Le Figaro’ aveva pubblicato un’intervista in cui quest’ultimo affermava che i ribelli non avrebbero lasciato Goma, in attesa di vedere le loro rivendicazioni accolte dal presidente congolese Joseph Kabila. Nelle stesse ore in cui le agenzie di stampa trasmettevano le dichiarazioni di Nyakayirima, Runiga aveva inoltre dettato le sue condizioni: scioglimento della commissione elettorale congolese e concessione di libertà di movimento a Etienne Tshisekedi.
L’anziano uomo politico era stato sconfitto da Kabila nelle ultime elezioni presidenziali, e aveva denunciato pesanti brogli.
Sarebbe però semplicistico collegare colui che ancora oggi si ritiene il presidente eletto con la ribellione: è vero che Tshisekedi aveva proposto in passato di trattare col movimento, ma ben prima che la crisi militare esplodesse.
Molto più probabilmente queste condizioni sono il modo di guadagnare tempo scelto da Runiga che, nel caso di una vera offensiva militare appoggiata dalla comunità internazionale, avrebbe molte difficoltà a tenere Goma.
Un’altra conferma della volontà dei miliziani di rimanere in città la fornisce all’agenzia MISNA un parlamentare locale d’opposizione, Jason Luneno, riferendo della “marcia di resistenza” che gli occupanti starebbero organizzando.
Quello tra i diversi leader ribelli potrebbe anche essere un gioco delle parti: lo stesso Sultani Makenga non sembra essere stato esattamente sincero in altre occasioni, negando persino i legami – ormai chiari – del M23 con il Rwanda, e anzi sostenendo che l’esercito del presidente Kagame sarebbe schierato con il governo congolese.
E tuttavia, vista la situazione intricatissima della regione, in cui si muovono numerosi movimenti guerriglieri e i cambi di fronte sono tutt’altro che rari, nessuno sviluppo sembra poter essere davvero escluso. Una sola cosa appare ormai evidente. Il governo di Joseph Kabila è di giorno in giorno più debole e il molto discusso presidente sarà – politicamente – il vero sconfitto della crisi di Goma. Il cui epilogo potrebbe diventare ancora più tragico: contemporaneamente al balletto di dichiarazioni intorno al Kivu, ci sono stati scontri sulla frontiera.
Ad attaccare il territorio rwandese sarebbero state – secondo lo stesso governo coinvolto – alcune milizie composte da hutu rifugiatisi in Congo e ostili al presidente Kagame, un Tutsi.
Già in passato le autorità di Kigali hanno giustificato il loro intervento in Congo con la necessità di contrastare le milizie hutu ed impedire il riesplodere del feroce conflitto che attraversò il Rwanda nel 1994 risolvendosi in una feroce e generalizzata pulizia etnica ai danni di tutsi e hutu moderati.
A loro volta, però, le azioni appoggiate da Kagame sono state determinanti nell’inasprire il conflitto congolese, che tra 1997 e 2003 ha causato, secondo alcune stime, circa 5 milioni di morti, e ha avuto conseguenze che ancora durano sulla popolazione civile. Che anche nel caso di una nuova escalation sarebbe la prima a pagare un prezzo terribile.