Le continue minacce che investono il mondo del web pongono a tutti noi seri interrogativi sui numerosi rischi che corre attualmente la nostra democrazia. Sbaglia di grosso, infatti, chi si illude che l’Occidente sia, a prescindere, immune da pulsioni autoritarie e repressive per il solo fatto di essere composto da paesi di antica e solida tradizione democratica. E sbaglia anche chi sottovaluta la pericolosità delle nuove forme di bavaglio, assai più subdole e raffinate rispetto a quelle palesi e quasi ingenue di qualche anno fa, poste in essere da un potere globale sempre più arroccato ed arrogante, per lo più di natura non elettiva e, proprio per questo, terrorizzato da un eventuale confronto a viso aperto con i cittadini.
La rete, difatti, ha aperto scenari e schiuso orizzonti un tempo impensabili per tutti coloro che hanno a cuore la libertà d’informazione e la libera circolazione di idee ed opinioni: lo abbiamo visto nel mondo arabo, con le immagini delle ormai celebri “primavere”; lo abbiamo visto negli Stati Uniti, patria dei social network e delle grandi rivoluzioni tecnologiche, dove Obama ha affidato a Twitter il suo primo commento dopo la rielezione; e lo abbiamo visto anche in Italia, nel corso della nostra “Primavera arancione” del 2011 che ha condotto persone splendide come Pisapia e De Magistris alla guida di due delle nostre principali città e, soprattutto, ha consentito il raggiungimento del quorum in referendum che molti, all’inizio, consideravano destinati al fallimento.
Tuttavia, purtroppo, anche coloro che in questi anni sono stati colpiti e, spesso, sconfitti grazie alla forza della rete, si sono accorti delle sue potenzialità e, naturalmente, non hanno perso tempo, cercando in ogni modo di controllarne i contenuti e di arginarne la dirompente capacità di aggregazione, mobilitazione, protesta e proposta.
Fortunatamente, a differenza di ciò che avviene nei mezzi di comunicazione tradizionali, censurare i contenuti in internet non è semplicissimo: un po’ per la sua capillare diffusione, un po’ perché, con l’avvento dei social network, e dunque di una nuova dimensione sociale, politica, mediatica ed anche economica, lo stesso articolo o lo stesso video può essere condiviso contemporaneamente da milioni di persone in tutto il mondo, aggirando le norme, gli ostacoli e i divieti che alcune false democrazie si ostinano ad imporre per salvaguardare l’egemonia delle oligarchie che le dominano.
Nelle ultime settimane, però, a dimostrazione della ferma volontà di assoggettare il web, comune a quasi tutti i poteri forti e più o meno occulti, si è profilata una nuova, gravissima insidia: un attacco che l’Unione Europea, fresca di premio Nobel per la Pace, ha il dovere di sventare e rispedire al mittente, attingendo al suo patrimonio storico e culturale di lotte in difesa della libertà e dei beni comuni, quali possono essere considerati senza dubbio il pluralismo dell’informazione e la circolazione democratica delle idee.
Stando a quanto ha affermato in un’intervista Debora Serracchiani, invece, pare che ancora una volta l’Unione Europea stia ponendo in secondo piano i princìpi morali sui quali si fonda e che dovrebbero sempre animarla, soprattutto quando in gioco c’è il diritto ad esprimersi liberamente di miliardi di persone, messo seriamente a rischio dalle proposte di revisione degli Accordi mondiali sulle telecomunicazioni presentate da alcuni stati, in vista della Conferenza Mondiale sulle Telecomunicazioni Internazionali (Word Conference on International Telecommunications – WCIT) che si svolgerà a Dubai dal 3 al 14 dicembre.
“Sono sorpresa – ha affermato la Serracchiani – che il Parlamento europeo non sia pienamente coinvolto nelle discussioni su una decisione di tale portata”, a conferma del fatto che nel Vecchio Continente la gravità del rischio non è stata compresa fino in fondo, anche, e direi soprattutto, a causa della pesantissima eredità, in termini etici e di rispetto dei diritti umani, lasciata dalle destre neo-liberiste che hanno imperversato nell’ultimo decennio.
Per quanto la Commissione si sia sforzata di redigere un documento che parta dal presupposto della tutela e dell’osservanza delle norme liberali europee in materia di telecomunicazioni, il vero nodo da sciogliere rimane quello relativo alla “governance” della rete che per noi dev’essere assolutamente affidata ai singoli fruitori mentre secondo le suddette oligarchie dovrebbe essere consentito ai governi, cioè a loro stesse, “di ficcare il naso non solo nelle comunicazioni dei propri cittadini, ma nei dati che transitano attraverso le proprie reti”; il che – come ha giustamente sottolineato la Serracchiani – getterebbe le basi per una spaventosa censura della libertà d’espressione che finirebbe col privare interi popoli dell’unica arma che hanno a disposizione per battersi contro le vessazioni, i soprusi e la corruzione di certi loro governanti.
Ce la farà l’Europa ad opporsi con la dovuta fermezza ad una simile deriva? Ce lo auguriamo di cuore, anche se il progressivo affievolirsi della tensione morale di un tempo e la costante rinuncia ai suoi valori costitutivi, in nome di una tecno-burocrazia monetaria che ha prodotto solo recessione, austerità e la distruzione di ogni forma di solidarietà sociale, non inducono certo ad un particolare ottimismo.
Nonostante tutto, crediamo e auspichiamo che, alla fine, la Commissione saprà trovare comunque una sintesi efficace tra le posizioni dei ventisette paesi membri e presentarsi al vertice di Dubai con una voce sola: una voce di libertà, di uguaglianza dei diritti e dei doveri e di ferma opposizione ai continui tentativi di smantellare l’ultima possibilità che è rimasta a popolazioni sempre più inascoltate di far sentire la propria voce.
Se l’Europa dovesse fallire, sarebbe una catastrofe di proporzioni inimmaginabili e, probabilmente, nei giorni della consegna del Nobel, verrebbero meno le ragioni stesse della sua esistenza.