Il 19 agosto scorso il Presidente del Consiglio Monti ha parlato di Rai. Non lo fa spesso e la cosa tutto sommato (visti precedenti e predecessori) la si può intendere pure come un merito. Sarà stato allora per il clima festivo o per la calorosa accoglienza ricevuta, fatto sta che davanti alla platea di giovani ciellini riuniti nel Meeting di Rimini, proprio il 19 agosto, Monti ha invece chiamato in causa i telegiornali del servizio pubblico affidando loro una missione, diciamo così, pedagogica. “Darò ai vertici della Rai l’amichevole suggerimento di non fare più usare l’aggettivo furbi nei servizi che descrivono la lotta all’evasione fiscale” ha dichiarato ammonendo che “non si possono trasmettere neppure in modo subliminale dei disvalori che distruggono la società italiana”.
D’altronde solo due giorni prima era uscita sul settimanale cattolico Tempi un’intervista in cui lo stesso Monti aveva ribadito l’argomento antievasione da lui considerato più solido: “L’evasione fiscale produce un grosso danno nella percezione del Paese all’estero” . E aveva aggiunto che l’Italia si trova a causa di questo fenomeno in uno “stato di guerra”. Parole forti che più chiare di cosi onestamente è difficile immaginare. Coniugate con un argomento che la “cultura di sinistra” non è solita adoperare. Per il nostro capo del governo l’evasione non è soltanto un problema etico, non è tanto un’ingiustizia quanto un fattore di arretratezza perché rovina la nostra credibilità all’estero. Da fuori vedono che noi italiani abbiamo accumulato un enorme debito pubblico, poi leggono che da noi tantissimi non pagano le tasse e allora inevitabilmente si chiedono : come può un paese del genere dare garanzie alla “comunità internazionale”?
Prendiamolo per buono questo argomento. E mettiamolo in relazione con un’altra notizia, una ricerca pubblicata sempre a fine agosto da Contribuenti. It. I dati ovviamente non sono nuovi eppure la loro impressione non hanno mancato di suscitarla. I ricercatori di Krls (Network of Business Ethics) hanno confermato una precedente certezza: è il canone Rai la tassa più evasa dagli italiani, non la paga il 41% delle famiglie con punte dell’86% in alcune regioni come Campania, Calabria, Sicilia. La stima del “gettito evaso” è stata, per Contribuenti.It , di 550 milioni di euro. Per quanto riguarda le imprese quelle che non pagano arrivano addirittura al 97%. Al punto che viene da chiedersi: ma non sarebbe meglio abolirlo questo canone se deve essere soltanto una finzione?
Già, perché tutte queste notizie vanno tenute insieme, ciascuna va “coordinata” con l’altra. Se è sacrosanto non chiamare furbi gli evasori, non è altrettanto sacrosanto dimostrare concretamente che furbi non sono? Fin dai tempi più remoti, ai governanti avveduti, era evidente come la pratica dell’evasione fosse in sé diseducativa suscitando una “perversa imitazione” nel corpo sociale. Se posso evitare di sborsare soldi per un tributo perché poi ne devo versare per un altro? Quando si arriva all’80% di “non paganti” evidentemente si è davanti a un campanello d’allarme che suona per tutta la vita pubblica, quella guerra evocata nell’intervista a Tempi è inesorabilmente persa. Varrebbe la pena chiedere al professor Monti che ne pensi della “esperienza storica” della mancata riscossione del canone radiotelevisivo. La risposta potrebbe essere interessante. Anche perché si interfaccia col secondo argomento, quello della credibilità internazionale del paese. Che devono pensare di noi in Francia e Germania dove l’evasione del canone è sotto il 10%? O dobbiamo illuderci che questi numeri sui “furbacchioni italici” (l’86% che se frega dello Stato) non circolino pure in Baviera quando si parla di inaffidabilità italiana?
In poche parole la faccenda non va impostata in funzione di un risanamento dei conti Rai piuttosto come contrasto a un “disvalore che distrugge” la tenuta sociale del paese. Brutalmente il nodo da sciogliere è se il canone vada mantenuto o abrogato. Nella prima ipotesi, quella auspicata da chi ritiene che l’informazione (come nel resto d’Europa) non possa vivere solo di risorse commerciali, si può e si deve procedere conseguentemente. Le soluzioni “tecniche” sono arcinote: se si vuole farlo, nell’anno del Signore 2012, il canone lo si aggancia alla bolletta elettrica e allora (come accade per moltissime addizionali) la questione della riscossione è in buona misura risolta.Il problema è volerlo fare.
Ma se si decide di agire allora questa operazione può essere fatta coincidere con qualcosa di molto più ambizioso sotto il profilo culturale e civile. Offre un’opportunità che va colta.
Il 17 maggio di quest’anno sempre Mario Monti incontrando Attilio Befera dell’Agenzia delle Entrate, dopo una serie di atti intimidatori perpetrati in varie città contro le sedi di Equitalia, ha affermato che c’è un unico modo concreto per ridurre in Italia la pressione fiscale. “Pagare tutti per pagare meno” ha detto indicando in questo percorso fondato sull’ equità la strada maestra.
Bene, la proposta che (in nome di un’informazione che deve restare plurale anche sul piano delle risorse) può partire da Art. 21 e dall’assemblea di Acquasparta per il canone Rai (rivolta direttamente al capo del Governo proprio sulla base di considerazioni da lui svolte come abbiamo visto in più occasioni, ma da estendere a tutti) potrebbe essere questa: lo si agganci alla bolletta della luce contemporaneamente abbassandone l’importo. Anche una riduzione di pochi euro avrebbe un altissimo significato simbolico, diventerebbe un’occasione per passare dalle parole ai fatti. Per far vedere agli italiani (a quel maggioritario 60% che il canone oggi lo versa) che si può concretamente pagare meno se cominciano veramente a pagare tutti. Che i “furbi” possono essere sconfitti dall’equità coi fatti oltre che con le parole.