Ci sono casi nella storia italiana in cui per decenni sono proseguite vicende scandalose ed oscure denunciate da pochi e alimentate da molti. Una di queste è la gestione delle frequenze. Dalle sentenze della Corte Costituzionale sulla libertà dell’etere a metà degli anni ’70 fino a giorni più recenti é stato un susseguirsi di “favori”, coperture, spregio degli interessi pubblici di cui talvolta anche il giudice penale si é occupato. Chi si é lamentato è stato quasi sempre liquidato come un estremista o un fazioso. Eppure l’Italia ha perso e sta perdendo la possibilità di sfruttare questo immenso bene che sono le frequenze, sia per una informazione realmente pluralistica, sia per un essenziale sviluppo tecnologico. A volte il tempo è galantuomo e chi ha fatto battaglie, spesso isolato, oggi si trova in buona compagnia: l’Unione Europea, gli organismi internazionali di telecomunicazioni, lo sviluppo delle tecnologie mobili (un solo dato: più telefonini che abitanti sul nostro pianeta).
Quando mi capita di parlare dell’argomento dico che le frequenze sono il petrolio del futuro, ovviamente non come fonte energetica ma come risorsa economica per gli stati. Ed allora, come si puó liquidare la coraggiosa iniziativa di Beppe Giulietti e di altri che in questi giorni hanno incalzato il Governo sul tema dell’asta delle frequenze come un volersi interessare di “atti interni tra Bruxelles e l’Agcom”? Atti interni? Ditelo ad Almunia che che ha fatto fare sul punto una conferenza stampa al suo portavoce (e meno male che c’è Bruxelles!).
Si farà mai la gara? Forse su questo sarebbe stata più utile una risposta. Oggi il tema non é solo incaponirsi nella solita guerra della televisione (che pure ha la sua importanza). Con lo sviluppo di internet e la connessione permanente alla rete, le risorse frequenziali dovrebbero essere al centro dell’interesse e dell’azione di qualunque Governo. Basta rendite di posizione (di operatori televisivi e di telecomunicazioni) su un bene tanto importante. É necessario un grande sforzo di riordino finalizzato ad un uso efficiente ed economicamente conveniente per lo Stato. Certo un giorno sarebbe bello avere una legge come quella argentina sui media che dichiara: “le frequenze sono un bene sociale che va gestito democraticamente”.
*l’autore è stato commissario Agcom