Ho cominciato a navigare in internet alla fine degli anni ’90 percependo la rete come una meravigliosa finestra aperta sul mondo. Per mia natura sono curiosa e fin dai miei primi passi nel mondo 2.0 ho cercato di usare questo mezzo per conoscere luoghi, personaggi e storie. Più avanti compresi le incredibili potenzialità dei collegamenti che si potevano realizzare utilizzando la rete per organizzare eventi ai quali potevo invitare esperti che con altri mezzi non avrei mai potuto avvicinare. Il primo grande sconvolgimento mondiale, che ho avuto modo di osservare da questa particolare finestra, è stato l’attentato alle torri gemelle dell’11 settembre 2001 che portò ad un’esplosione di innumerevoli teorie, consultabili su svariati siti, riguardo ai mandanti e alle modalità di quel terribile atto terroristico.
Nei mesi antecedenti avevo già cominciato a conoscere alcuni canali d’informazione alternativi come Indymedia che ebbe una notevole importanza nel riportare i fatti del G8 di Genova e le proteste anteriori del mondo no-global. Ho vissuto dal pc la guerra in Iraq e quella in Afghanistan con tutto il susseguirsi di voci pro e contro la partecipazione da parte degli Stati Uniti, la morte di Saddam Hussein, quella di Osama Bin Laden e quella Mu’ammar Gheddafi. Alla fine degli anni ’90 e ai primi del 2000 solo un numero esiguo d’individui si ritrovava in rete a discutere nei gruppi e nei forum, con la nascita dei social network molte più persone hanno utilizzato il proprio spazio in rete (casa virtuale) per divulgare notizie, esporre un pensiero ed esprimere un giudizio su un fatto importante del mondo ricevendo per questo un feed back immediato da parte degli utenti legati alla sua piattaforma.
La questione palestinese per molti italiani è sempre stata vissuta come l’ingiustizia di un popolo che ha subito l’invasione e la prepotenza di un altro popolo. Quando ero adolescente molti miei coetanei portavano la kefiah in solidarietà al popolo palestinese, non mi pare che nessuno contestasse questa scelta come segno di antisemitismo al contrario di quanto succede in questi giorni su twitter quando esprimi un pensiero sui bambini di Gaza.
(mappa http://it.peacereporter.net/upload/4/45/450/4505/45055.gif)
It.peacereporter.it riporta, nella sua mappa sulle guerre nel mondo, 31 conflitti nel 2011. In queste ultime ore sono oltre 7.000 i profughi nel Congo in fuga dalla guerra che vede contrapposti l’esercito ai ribelli, le notizie a riguardo sono poche e, a parte i mass media generici, mi chiedo il perché alcune guerre suscitino un appeal diverso rispetto ad altri conflitti. Cerco di darmi le risposte e quello che posso immediatamente riscontrare è che sicuramente ciò non dipende dal numero delle perdite di civili o da quello delle donne o dei bambini coinvolti. Lo dimostra il fatto che da mesi i siriani gridano in rete il dolore del loro popolo dove, dall’inizio del conflitto, sono morte circa 40.000 persone di cui 3.000 bambini, eppure oggi l’attenzione del mondo sembra essere concentrata soprattutto su Gaza.
Attenzione, non ho intenzione di giudicare nessuno, sto solo cercando di capire i motivi. Tornando alla mappa di Peacereporter notiamo che è il conflitto in Darfur che ha causato il maggior numero di perdite di vite umane (circa 300.000 dal 2003 al 2011). La mappa inoltre ci fa notare come quanti di questi conflitti siano guerre civili, guerre fra etnie diverse di una stessa nazione (come nel caso dello Yemen) e guerre relative a dispute per l’appartenenza o meno di territori di confine. Riguardo al medio oriente, al continente africano e ad alcune nazioni dell’Asia è comune percezione che quelli siano da sempre territori di contese e siccome sono piuttosto lontani da noi in fondo non ci riguardano.
Pensando al centro America vengono in mente i conflitti fra narcotrafficanti e considerando la Russia molti credono che nei territori nord caucasici ci siano molti terroristi e che Putin in fondo faccia bene a tenere quella gente “sotto osservazione”. Il conflitto israelo-palestinese sembra avere contorni più chiari: da una parte c’è un popolo oppresso, dall’altra un popolo oppressore, oppure: avvertiamo il pericolo dell’avanzata del fondamentalismo islamico che dev’essere arrestata dal popolo eletto. Fin dalla notte dei tempi è sempre stata volontà dell’uomo quella d’interpretare i fatti ed orchestrarli a proprio piacimento, si sono scritti libri di storia lontani dalle storia reale, stessa cosa è successa poi sui giornali e oggi in rete queste manipolazioni volute (e a volte inconsce) si sono moltiplicate.
La disputa fra il buono e il cattivo ha sempre suscitato un fascino maggiore rispetto a quella fra Caino e Abele, i panni sporchi si lavano in famiglia per cui le guerre intestine in fondo vengono percepite come se non fossero affari nostri mentre altre offrono l’occasione di far emergere il tifoso latente in tutti noi. Cercando di documentarmi sulla guerra in Siria mi sono accorta di quanto io sia ignorante e allo stesso tempo di quanti fini analisti politici ci sono nel nostro paese pronti a vomitare con rabbia le loro tesi in rete. Ho osservato inoltre la presenza di numerosi fake e di quanto sia facile ricevere “certe” attenzioni anche da chi, apparentemente molto lontano, si dimostra “particolarmente attento” alla tua percezione del conflitto. Come avevo detto prima, su twitter basta una frase rivolta ai bambini palestinesi per farti dare dell’antisemita anche da persone che tu non segui. Ho letto alcune cose che mi hanno fatto rabbrividire come il parlare di “morti utili” da parte di un politico italiano riguardo a questa delicatissima situazione. Sono convinta che tutti gli israeliani non siano fondamentalisti sionisti come non tutta la popolazione araba sia fatta da talebani, al contrario di come certe persone e alcuni mass media vogliono indurci a credere.
La mia speranza, riguardo ad ogni conflitto, è che prevalga il dialogo per la salvaguardia di tutte le vite umane, eppure spesso ho l’impressione di essere tirata da una parte o dall’altra. Continuo ad osservare su facebook persone che pubblicano foto sulla popolazione uccisa o ferita, bambini compresi, nel tentativo di risvegliare le coscienze, di suscitare la pietas fra i loro conoscenti. Altri non sopportano la vista di tanto orrore e chiedono che non venga mostrato, altri ne sono completamente indifferenti. Credo che ci siano tanti mezzi per suscitare emozioni di fratellanza fra i popoli, quello che da mamma avverto è quanto in comune ci sia nell’amore verso un figlio da parte di tutte le popolazioni del mondo.
Dovremmo ritrovare emozioni che uniscono e non quelle che dividono eppure è proprio su queste divisioni che si gioca la guerra nei social network, già col mio povero modem 56k mi ero accorta di quanto siamo tutti divisi in fazioni, ma adesso che la rete mi offre infiniti canali, e uso più di un social network, osservo quanto facilmente ci sia la volontà di far leva su tutto quello che è più lontano dal dialogo. Se si digita “Gaza” su twitter il primo account ad apparire è quello della IDF (Isreael Defence Forces), dopo arrivano quelli d’informazione palestinesi. Siamo indotti, siamo osservati, la guerra si consuma anche in un tweet o in una condivisione su facebook. E’ quanto mai indispensabile al giorno d’oggi non fermarsi alla prima cosa che leggiamo ed approfondire anche andando a dare un’occhiata ai siti di chi avvertiamo come dalla parte sbagliata, fermarsi, riflettere e continuare ad indagare.
In questi ultimi giorni ho letto su alcuni blog di persone che ritenevo autorevoli autentiche castronerie create ad arte per manipolare la realtà. Lo spirito critico è necessario e io che di natura non ne avrei neanche un grammo mi sto sforzando di svilupparlo perché, per quanto mi sia possibile, non voglio cadere in nessun tranello. Ci sono dei valori che sono sempre giusti e che trascendono dalle tifoserie di parte, il rispetto della vita e dei diritti umani, se si perdono di vista questi non c’è ragione che tenga. Nel nostro piccolo possiamo scegliere di essere migliori di coloro che fanno le guerre evitando il loro gioco, tornando sempre alla vita e alla sua sacralità.