BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Le ‘perle’ italiane volano all’estero

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Ilaria Patassini, in arte Pilar (foto di Paolo Soriano), torna in concerto il 31 ottobre, all’Auditorium Parco della Musica,  a un anno esatto dalla presentazione del disco “Sartoria Italiana Fuori Catalogo”. Accolto con successo di pubblico e di critica, l’operazione ci lasciava già presagire il volo dell’artista verso l’Europa. Quello di Pilar è stato, infatti, un anno denso di attività
concertistica. Sartoria Italiana Tour ha toccato numerose tappe italiane,
bellissime città europee e l’ambita Parigi.

Certo da un disco come il suo, impeccabile, accompagnato da un live
perfetto e un progetto così elaborato e forgiato ad arte, con una carica
emozionale regalata a piene mani, ci aspettavamo un vero e proprio exploit nel panorama
musicale italiano! Una vetrina di rilievo, fatta di copertine e prime
pagine, di rotocalchi e prime serate, non solo di ‘edizioni limitate’ per
palati raffinati, come i Premi d’Aponte, Tenco e Musicultura o le pur
buone trasmissioni dei palinsesti notturni.

E così, a un anno di distanza, ci troviamo a chiederci come mai qualcosa di
“popolarmente” clamoroso non sia accaduto a questa artista di rare
capacità e bellezza. La risposta è demagogicamente la stessa: il nostro
Paese ha dimenticato la strada della meritocrazia e del talento, a forza di sparlare
sempre e solo di politica, di omicidi, di mafie, di tasse e di spread. E
dunque, per avere il meritato posto in prima fila, occorre un disco,
studiato a tavolino, che “sparli” in musica delle cose che popolano
forzatamente i nostri pensieri, le pagine di ogni giornale, le più
gettonate trasmissioni televisive e radiofoniche.

Può darsi che sia solo un ‘cattivo’ pensiero, questo. E’ probabile che si
ignorino i luoghi dell’arte e della cultura, le pianure dove si consumano
battaglie sul buongusto, le montagne atte a coltivare artisti meritevoli e
cui spianare strade verso brillanti futuri…

Allora è stato necessario incontrare Pilar, per farci smentire e per
curiosare nel suo stato d’animo alla vigilia di “Mani, archi e fili di
perle” – Sala Petrassi dell’Auditorium, ore 21.00 – che, ne siamo certi,
non tradirà le aspettative del pubblico che la ama, la rispetta e la segue
con affetto, riconoscendole ogni merito.

Cos’è successo in questo anno che ci divide dall’uscita del disco? Cos’è
cambiato in Pilar?
E’ stato un anno intenso, con la sola voglia di suonare ovunque fosse
possibile, un anno che si chiude con un attivo di circa cinquanta concerti,
fatti di spostamenti, molti caffè, molta musica e bellissimi incontri. Il
disco è stato prodotto e gestito direttamente, senza filtri, è un prodotto
davvero indipendente, credo sia quindi bene non negare né la fatica né il
privilegio.  Logica vuole però che dopo un anno senta il bisogno di fare
solo delle cose mirate e di iniziare a fare sedimentare altro per il
futuro.

Che ci aspetta stasera all’Auditorium?
Sarà una serata speciale. Nel repertorio del concerto ci sarà più
l’interprete Pilar che l’autrice. Le tracce scelte da “Sartoria Italiana
fuori catalogo” sono state interamente ri-arrangiate da Federico
Ferrandina per una piccola orchestra da camera: quartetto d’archi,
contrabbasso e la chitarra di Federico, che sarà anche alla direzione. E
poi ci sarà una incursione di Bungaro. Invitarci sui rispettivi palchi sta
diventando una felice tradizione.

Nell’ambiente musicale quali sono le maggiori differenze tra il nostro
modo di lavorare e quello con cui ti sei misurata in Europa? Si può
tracciare un filo rosso nelle tue esperienze europee?
La sintesi è una: esistono pianeti dove vige la regola della causa-effetto.
Non è che sia meno faticoso, ma la vera differenza sta nel fatto che in
moltissimi paesi europei il principio meritocratico è prassi, non eccezione.

Il pubblico parigino come ti ha accolta?
La mia esperienza al momento è minima…ma certamente ho trovato un pubblico
attento, curioso, entusiasta.

Per un artista questo è momento favorevole a una ‘fuga’ dall’Italia o credi
che sia necessario rimanere e trovare un modo per imporsi e per
ripristinare il valore ‘cultura musicale’?
“Fuggire” non è un verbo che amo molto e del resto ogni creativo è
naturalmente portato a cambiare aria ogni tanto, conoscere facce e strade
nuove, viaggiare quindi direi che è obbligatorio, in ogni caso. E’ inutile
negare che lo è ancora di più oggi, in un mondo che sta letteralmente
mutando clima e genetica e in un Paese, come il nostro, che premia
l’immobilità e tende a garantire lo status quo. Prima o poi questo stagno
sarà invaso da pioggia e si trasformerà in fiume. E’ solo questione di
tempo.

Progetti? Sanremo? Platee importanti cui ambisci?
Sono in un momento di impegni mirati e navigazione a vista. Nei momenti di
passaggio si ha spesso l’ansia di essere immobili e improduttivi. In
realtà è il contrario perché ascoltare e ascoltarsi sono verbi nobili e
rivoluzionari.
Mi piacerebbe arrivare alla platea dell’Ariston, ma il tentativo va fatto
solo quando si ha un progetto forte, coerente e mediaticamente spendibile:
non basta una bella canzone. Sanremo è una trasmissione televisiva dove la
musica è una delle componenti, non l’unica.

Ilaria Patassini è felice del suo percorso?
Soddisfatti e pacificati forse non lo si può essere mai, ma quando arriva
l’inquietudine, in tutto il suo infinito sfoggio di fascinose sfumature, ho
armate di gesti e pensieri felici pronti a difendermi per andare oltre. Sono
felice non tanto di quanto ho fatto finora ma di quello che non conosco
ancora e che farò. Il figlio più amato del resto è sempre l’ultimo che si
aspetta.

Un augurio che fai a te stessa?
Ricordarmi che… tutto quello che può dirsi Musica esiste solo in solo
virtù delle pause sul pentagramma e del loro silenzio.

Lasciamo Pilar, così misurata anche nella sottile critica, così elegante nel
suo parlare, così ricca di sagge “perle”.
Con delicata e rispettosa tristezza, volgiamo al ‘silenzio’… almeno fino
alla sua entrata in scena, quando mani, archi e fili di perle, su quei
pentagrammi sapranno scrivere armonie perfette, fuori catalogo, sì, ma pur
sempre italiane.


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