Nel Belpaese, quello che lascia sgomenti è che a un’evasione massiva, cioè a un fenomeno di illegalità di massa assolutamente incompatibile con la democrazia, si accompagna la spudoratezza di chi evade. Chi evade lo fa senza vergogna, anzi è perfino capace di rivendicare in piazza il suo sacrosanto diritto di evadere. Frodare il Fisco è dunque considerata una colpa lieve, se non addirittura un motivo d’orgoglio. Insomma, chiamiamole se vogliamo “innocenti evasioni”.
Detto questo, è ragionevole chiedersi quali possano essere le basi “morali” dell’evasione fiscale. Scopriamo allora che esiste una diversa etica, peculiarmente italiana, capace di incoraggiare i bugiardi fiscali. Si tratta di quell’ethos, di quella mentalità pubblica che il sociologo americano Banfield definì “familismo amorale”. Il familista sembra seguire questa regola generale: massimizzare i vantaggi materiali e immediati della famiglia nucleare, pensando che tutti gli altri facciano lo stesso. Regola che, in campo fiscale, si traduce nella giustificazione che sentiamo spesso: “Evado perché tengo famiglia; del resto così fan tutti”.
Che fare? Il problema dell’evasione non è solo un problema tecnico, ma soprattutto morale e politico. Non è possibile pensare di risolverlo soltanto con interventi normativi o con pene più severe. Né si possono organizzare le crociate contro gli evasori.
Come diceva Ezio Vanoni, il segreto sta “nel creare, attraverso la persuasione politica e morale, un clima nel quale si senta che, difendendo la razionale o uguale applicazione dei tributi, si difende non una legge formale dello Stato, ma l’essenza stessa della vita dello Stato”. Ogni genere di riforma avrà uno scarso effetto, se i cittadini non saranno convinti della necessità dell’imposizione tributaria. Per combattere efficacemente l’evasione, occorre procedere, con la massima urgenza, ad instaurare un clima etico molto forte, nel quale le famiglie percepiscano che il Fisco è il fondamento della democrazia e che le imposte finanziano una spesa pubblica di qualità.