Dal 5 al 17 novembre 2012 a Napoli si svolgerà il 5° Festival del Cinema dei Diritti Umani, promosso e coordinato dall’Associazione “Cinema e Diritti”, in collaborazione con decine di organizzazioni napoletane. Un Festival costruito in gruppo che, grazie al cinema documentario, riesce a portare il dibattito sui Diritti Umani all’interno di quartieri, scuole e università. Una manifestazione senza padroni, dove il biglietto d’ingresso è vietato. Un’occasione unica che mette ogni anno, per 2 settimane, Napoli al centro del Mondo.
www.cinenapolidiritti.it per saperne di più. E il 7 novembre, all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, ci sarà anche Articolo 21 con una relazione del prof. Nicola D’Angelo che commenterà la Ley de medios argentina che entra in vigore in queste settimane per garantire pluralità e autonomia nell’informazione.
Il modo con cui affettuosamente lo chiamiamo è “il cinema dalle gambe lunghe” perché va nelle periferie, nelle scuole, nelle aule universitarie e non si vergogna di farsi mettere sul muro di una sacrestia, di una chiesa sconsacrata o di un refettorio dell’albergo dei poveri, su un lenzuolo offerto dalla signora del quartiere o in un cinema del centro dove il pavimento è di parquet e le luci soffuse. L’abbiamo proiettato dovunque, a Napoli e nelle sue periferie difficili, violente, dopo che avevano bruciato i campi rom o le discariche a cielo aperto, l’abbiamo proposto ai neri rifugiati ospitati negli alberghi della stazione o nelle baracche, lo abbiamo visto e commentato con i protagonisti delle lotte che erano raccontate in quelle immagini e con i reduci, i testimoni o i parenti rimasti a far vivere l’esempio dei propri cari scomparsi. E abbiamo anche riso e ci siamo commossi quando raccontava di gente un po’ matta che si era riaffacciata alla vita perché altra gente gli aveva teso una mano trovandogli una casa o un lavoro e tutto era finito con un sorriso perché i matti siamo noi….. e poi abbiamo acceso le luci e aperto discussioni perché non basta guardare, ma serve capirsi e confrontarsi. Questa non è televisione, con tutto il rispetto, e il regista l’attore ce l‘hai davanti.
Si chiama Cinema dei Diritti Umani e l’abbiamo appreso dagli argentini che di abusi e violenza di Stato ne sanno più di noi, che di minoranze neglette ne hanno tante e non hanno mai perso la speranza di ritrovare tutti i carnefici che hanno distrutto una generazione dei loro giovani, eppure sono ancora un popolo giovane, allegro e rumoroso che ama la danza e l’arte, la cultura e riempie i giardini di bambini nel passeggino e di ragazze vivaci dagli splendidi occhi neri. Un popolo che è tornato a vivere dopo un incubo e che ha gran voglia di recuperare il passato perduto e usa il cinema per dire ciò che pensa, anche grazie ad una legge che rende disponibili le frequenze televisive e dà spazio al cinema documentario autoprodotto. Dalla loro voglia di vita abbiamo deciso di prendere le mosse e apprendere a raccontare i nostri problemi (e Napoli ne ha tanti) perché il cinema è racconto, ma anche condivisione. E il Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli non è mai solo, ha migliaia di occhi attenti che ci seguono in Italia e nel mondo.
Il nostro Festival ci ha portato in una grande rete chiamata Human Rights Film Network che conta oltre 30 città del mondo ed è sostenuta da Amnesty International e da Human Rights Watch, ma soprattutto tiene insieme i fermenti dell’America Latina (la nuova frontiera dei Diritti Umani) e le ruggini della vecchia Europa che pretende di dare lezioni di civiltà e socialità. Scalpitano, ancora giovani e poco noti, i festival africani e si apre lo scenario dell’Asia emergente, il cinema sembra essere ancora un termometro veritiero della voglia di vivere di questi popoli, tenuti nella naftalina per secoli. Ma non è una novità: a guardare bene nelle pieghe del Novecento, il Cinema dei Diritti Umani è stato testimone di lotte e di sofferenze per quelli che non volevano piegarsi alle dottrine politiche della guerra fredda o ai credo delle chiese centrali, sorretti dalla necessità di dare voce ai poveri che chiedevano di essere liberati dalle catene dell’ignoranza e del potere economico. Oggi il Cinema dei Diritti Umani non è cambiato poi tanto: è ancora il racconto dei rom che vivono nelle discariche, dei contadini privati della terra che ci vorrebbero insegnare a coltivare il cibo per salvarci la vita, delle donne che chiedono dignità e libertà nella famiglia e nella società o degli ultimi, senza casa e senza bussola, che vengono silenziosamente eliminati negli angoli bui delle strade di periferia, nei reparti speciali degli ospedali, nelle caserme della forza pubblica, negli orrori delle carceri.
E sembra strano che un cinema così, nato dalla sofferenza dei popoli oppressi, oggi trovi spazio nel sud dell’Europa e in tutto l’Occidente che si dice ricco e progredito. Siamo peggiorati noi o è più acuto il suo sguardo? Noi pensiamo che ci sia molto da apprendere dalla lezione dei cineasti delle favelas e delle villas miseria delle grandi capitali del Sudamerica e che l’umanità abbia oggi strumenti eccezionali di comunicazione che stanno rapidamente cambiando il mondo. Per questo vorremmo dare ai nostri giovani la capacità di spalancare lo sguardo su tutto ciò che non va e che va discusso, interpretato, combattuto e migliorato, anche se le rivoluzioni della nostra gioventù sono lontane.
Il Cinema dei Diritti Umani è in fondo una grande speranza di cambiamento che sentiamo vicina e che non vogliamo finisca nelle mani di pochi professionisti dell’informazione. C’è bisogno di aprire scuole e fare commistione di culture, non basta avere cineasti innamorati dell’estetica quando questi strumenti così potenti rimangono confinati nei circuiti d’elite. Occorre poter diffondere la coscienza di questa disciplina e collegarla ad altri saperi, al giornalismo, alla cooperazione internazionale, all’antropologia e alla sociologia e farne un pane quotidiano che non sia solo una esclusiva di pochi, ma un linguaggio di tutti, un bene comune in rete. Cerchiamo nuove forme e nuove professioni, nessuno sa dove arriveremo.
Anche noi, da Napoli, faremo la nostra parte. Ci proveremo con un Master di II livello che, speriamo, partirà a febbraio nel 2013 tra Napoli e Salerno e vedrà 2 università italiane e 2 argentine collaborare per far sì che la storia di quei coraggiosi cineasti delle favelas, che seppero sfidare lo stato e alla chiesa per raccontare la vita degli ultimi, non scompaia nei libri di storia o finisca negli archivi a pagamento di qualche distributore magnanimo, ma faccia parte della cultura quotidiana dei nostri giovani e dia vita ad una professione degna del mondo che li aspetta.
Presidente Associazione “Cinema e Diritti”
Coordinatore del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli