Ora tutti lo dicono: Enzo Tortora, un uomo perbene. Ora tutti lo riconoscono: vittima di un mostruoso errore giudiziario. Ora tutti lo evocano, quando ci si vuole accreditare come perseguitati della giustizia. Che il suo arresto costituisca per la magistratura e il giornalismo italiano una delle pagine più nere e vergognose della loro storia, è cosa ormai assodata, anche se per quell’infamia nessuno ha pagato.
Contro Tortora accuse infamanti: affiliazione alla camorra, spaccio di cocaina, dopo esserne diventato consumatore per lenire il dolore procurato da un’operazione chirurgica (!). “Cinico mercante di morte, lo definisce il Pubblico Ministero; e aggiunge che più cercavano le prove della sua innocenza, più emergevano elementi di colpevolezza. Le abbiamo viste. Giovanni Pandico, un camorrista schizofrenico, sedicente braccio destro di Raffaele Cutolo: lo ascoltano diciotto volte, solo al quinto interrogatorio si ricorda che Tortora è un camorrista. Pasquale Barra detto ‘o nimale: in carcere uccide il gangster Francis Turatello e ne mangia l’intestino…
Con le loro dichiarazioni, Pandico e Barra danno il via a una valanga di altre accuse da parte di altri quindici sedicenti pentiti, che, curiosamente, si ricordano di Tortora solo dopo che la notizia del suo arresto è diffusa da televisioni e giornali. Quello che pomposamente viene definito “il venerdì nero della camorra”, si traduce in 850 mandati di cattura, e presto si sgonfia: decine le omonimie e gli errori di persona. Nel solo processo di primo grado gli assolti sono ben 104.
Il resto è storia nota: candidatura nelle liste radicali per il Parlamento Europeo, elezione; dimissioni per non sottrarsi alla richiesta avanzata dalla magistratura di arresto; impegno totale e totalizzante per la giustizia giusta. Infine il tumore che lo stronca.
Come e perché sia potuto nascere questo caso: sullo sfondo c’è la mancata ricostruzione dopo il terremoto dell’Irpinia: migliaia di miliardi di vecchie lire, circa 80mila, letteralmente spartiti tra camorra, politici corrotti e imprenditori; e c’è la trattativa condotta clandestinamente dallo Stato con la camorra per risolvere il caso dell’assessore campano Ciro Cirillo, sequestrato dalle Brigate Rosse di Giovanni Senzani. Non è una fantasia giornalistica. E’ la denuncia, anni fa, della Direzione Antimafia di Salerno: contro Tortora erano stati utilizzati pentiti a orologeria; appunto per distogliere l’attenzione della pubblica opinione dal gran verminaio della ricostruzione del caso Cirillo. Anni fa, realizzai per il “Tg2” un’intervista con Silvia, la figlia di Enzo; un’intervista che ancora oggi mette i brividi. Silvia risponde alle domande evangelicamente, con monosillabi:
Quando suo padre fu arrestato, oltre alle dichiarazioni di Pandico e Barra, cos’altro c’era?
“Nulla”.
E’ mai stato pedinato, per accertare se davvero era uno spacciatore, un camorrista?
“No”.
Intercettazioni telefoniche?
“Nessuna”.
Si è mai verificato a chi appartenevano i numeri di telefoni trovati su agende di camorristi e si diceva fossero di suo padre?
“No”.
Suo padre è stato definito cinico mercante di morte. Su che prove?
“Nessuna”.
E’ stato accusato di aver intascato fondi destinati ai terremotati dell’Irpinia. Su che prove?
“Nessuna”.
Qualcuno le ha mai chiesto scusa per quello che è accaduto?
“No”.
Tortora ha voluto essere sepolto con una copia della “Storia della colonna infame”, di Alessandro Manzoni. Sulla sua tomba un’epigrafe, dettata da Leonardo Sciascia: “Che non sia un’illusione”.