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STEFANO RODOTA’: “La legge sulla diffamazione è un regolamento di conti della classe politica contro i media”

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“Il testo così come lo conosciamo oggi mi sembra indifendibile”. Così Stefano Rodotà, intervistato da Articolo21 interviene a proposito della legge sulla diffamazione. “Sottolineo il fatto che giustamente alcuni giornalisti hanno detto : “se la riforma della materia deve essere questa, allora teniamoci il carcere”, perché obiettivamente questa situazione peggiora la condizione della libertà d’informazione”.
Professor Rodotà, non le sembra una ricerca di vendetta del mondo politico contro i giornalisti?
“Prima ancora di parlare di vendetta, devo confessare che sono estremamente sconcertato e scandalizzato per il modo in cui si è discusso al Senato tutta la vicenda della legge sulla diffamazione. A parte la trasparente volontà di utilizzare come occasione o pretesto il salvataggio di Sallusti, per operare una stretta sulla libertà di informazione, sono sconcertato dalla pochezza tecnica e dalla inconsapevolezza delle conseguenze di una serie di norme.
Purtroppo è fatale che quando si scrivono leggi “ad personam” si legifera male: questa è la conferma che questo rischio si forma sempre. Si è detto in pratica: “dobbiamo eliminare il carcere in una situazione evidentemente sproporzionata al reato commesso”, quando questo non è un reato di opinione, perché la diffamazione e la diffusione di notizie false non hanno niente a che vedere con la libertà di opinione.
Detto questo, la corsa a modificare il Codice Penale in questa materia è sospetta o ipocrita, perché ci sono situazione ben più gravi di previsione di pene detentive di cui mai il Parlamento si è occupato. Penso ai detenuti per reati minori legati allo spaccio, penso agli immigrati: in tutte queste situazioni non si è mai, mai affrontato in Parlamento un testo per modificare le norme che riguardano queste categorie.
Questa legge “ad personam” è una legge ipocrita!
Mentre dovremmo pensare a ripulire il Codice dagli eccessi del carcere, ma no, si è colta l’occasione di Sallusti: non ci si può fermare qui,se si vuole essere civili e coerenti”.

Non reputa sproporzionate anche le sanzioni pecuniarie?
“Non insisto su quello che è stato già detto a proposito dell’uso della sanzione pecuniaria, al di là della sua funzione propria, perché diventa una forma di intimidazione; ma sottolineo il fatto che giustamente alcuni giornalisti hanno detto: “se la riforma della materia deve essere questa, allora teniamoci il carcere”, perché obiettivamente questa situazione peggiora la condizione della libertà d’informazione.
Provo molto ragionevole quello che ha scritto Carlo Federico Grosso, indicando una linea molto equilibrata: eliminazione sì del carcere, ma accompagnata non dall’apparato che c’è da questo attuale disegno di legge; bensì da un’accelerazione processuale e da una nuova disciplina della rettifica, diversissima però da quella prevista dal disegno di legge.
Neppure il modo in cui viene prevista la rettifica introduce una sorta di diritto all’auto-rappresentazione, che non ha niente a che vedere con la tutela dei diritti della persona, perché il modo in cui la rettifica è congeniata rende addirittura possibile chiedere l’eliminazione di notizie vere, considerando le modalità della rettifica stessa e l’impossibilità di accompagnarla con qualsiasi commento. Mi pare una disciplina assolutamente indifendibile.
Il testo così come lo conosciamo oggi mi sembra indifendibile”.

Ma perché allora anche i rappresentanti del centrosinistra in Parlamento si sono adeguati a questo orientamento?
“Mi sembra che non abbiano gli strumenti culturali adeguati per affrontare il problema e hanno al loro interno esponenti di questa corrente che vuole sfruttare l’occasione Sallusti per regolare qualche conto col sistema dei media”.

E’ un passo indietro anche rispetto agli altri paesi europei…
“Ormai purtroppo questi passi indietro sono tantissimi. Semmai è una conferma”.


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