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Cronaca e oblio, due diritti. Come conciliarli in Italia e in Europa

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di Giulio Vasaturo*
Il tema del rapporto fra il diritto di cronaca e la sfera di tutela di altri diritti primari del cittadino, compreso quello di dimenticare e di far dimenticare un proprio passato “ingombrante”, continua a costituire una delle problematiche giuridiche più controverse nell’era del web.

La possibilità di accedere, con un semplice click, alla mole immensa di “dati personali” raccolti negli archivi storici online delle redazioni giornalistiche costituisce, senza dubbio, un’opportunità irrinunciabile per una informazione sempre più rapida, agevole e dettagliata. La giurisprudenza, però, non manca di mettere in guardia sugli innegabili rischi che discendono da questo straordinario strumento al servizio dei “naviganti”.

Con una importante sentenza, la Suprema Corte è tornata di recente a ribadire che «se l’interesse pubblico sotteso al diritto all’informazione (art. 21 Cost.) costituisce un limite al diritto fondamentale alla riservatezza (artt. 21 e 2 Cost.), al soggetto cui i dati pertengono è correlativamente attribuito il diritto all’oblio e cioè a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultino ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati». Il diritto all’oblio, si legge nelle motivazioni di questa pronuncia, «salvaguarda in realtà la proiezione sociale dell’identità personale, l’esigenza del soggetto di essere tutelato dalla divulgazione di informazioni (potenzialmente) lesive in ragione della perdita (…) di attualità delle stesse, sicché il relativo trattamento viene a risultare non più giustificato ed anzi suscettibile di ostacolare il soggetto nell’esplicazione e nel godimento della propria personalità» (Cassazione, sez. III civile, sentenza 5 aprile 2012, n. 5525).

Troppo spesso, ammonisce la Cassazione, «nella rete internet le informazioni (…) risultano isolate, poste tutte al medesimo livello (“appiattite”), senza una valutazione del relativo peso, e prive di contestualizzazione (…)», per cui, soprattutto a distanza di tempo dai fatti finiti online, spetta al cittadino «un diritto di controllo a tutela della proiezione dinamica dei propri dati e della propria immagine sociale, che può tradursi, anche quando trattasi di notizia vera – e a fortiori se di cronaca – nella pretesa alla contestualizzazione e aggiornamento della notizia, e se del caso, avuto riguardo alla finalità della conservazione nell’archivio e all’interesse che la sottende, financo alla relativa cancellazione».

D’altro canto è del tutto evidente – come ha autorevolmente rilevato Mauro Paissan (Privacy e giornalismo, 2012, p. 49) – quanto e come il passaggio dalla consultazione dell’archivio giornalistico cartaceo alla indicizzazione del motore di ricerca abbia comportato un radicale cambiamento di prospettiva, non solo sul piano quantitativo ma anche su quello qualitativo. Effettivamente, oggi, alla lettura delle pagine storiche delle testate internet si giunge, sempre più di frequente, dopo essere transitati su google o su altri motori di ricerca, proprio al fine di ricostruire carriere, vicende e, per l’appunto, valutare l’affidabilità di persone con cui si è entrati in contatto.

L’Autorità di Garanzia a tutela della privacy, negli ultimi anni, è stata più volte chiamata a pronunciarsi su ricorsi di “personaggi” pubblici o privati che pretendevano la cancellazione dal web di articoli relativi a fatti del passato che li riguardavano e di cui non persisteva più, dal loro punto di vista, alcuna attualità. Non sono stati pochi i casi in cui il Garante ha saggiamente bilanciato le diverse posizioni in campo, ordinando, da un lato, la rimozione di ogni richiamo al link contestato dai motori di ricerca “generalisti” e, dall’altro, consentendo l’accessibilità del contenuto solo attraverso la consultazione diretta del sito della redazione giornalistica.

È questo, molto probabilmente, un compromesso accettabile per ribadire il pieno esercizio del diritto di informazione entro confini tali da non ledere prerogative fondamentali di coloro che, comprensibilmente, vogliono allontanare da sé e dal proprio presente l’onta di un passato scomodo. Almeno fino a quando non entrerà in vigore la riforma auspicata dal commissario europeo alla Giustizia,  Viviane Reding (leggi), che entro il 2015 dovrebbe rimodellare, sulla base di regole certe, il sistema di conservazione e divulgazione delle notizie a mezzo internet, contemperando al meglio (si deve sperare) i diritti dei singoli individui con quelli dei fruitori dei new media.

*avvocato, criminologo e coordinatore del Comitato Legale di Ossigeno

tratto da www.ossigenoinformazione.it


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