I precedenti. Si può ragionare sui precedenti per capire certe operazioni, come il tentativo di portare Benedetto XVI ad avallare ciò che non condivide, cioè un sostegno quasi esplicito ad Assad.
Vediamo allora il precedente, per prima cosa. E’ il 10 novembre del 2006. Il presidente cipriota viene ricevuto da Benedetto XVi in Vaticano. Nella parte aperta alla stampa dell’incontro, il presidente Papadopulos mostra al papa alcune fotografie di chiese ortodosse distrute dai turchi nel nord di Cipro. Il papa esclama, “che orrore!”
Benedetto XVI aveva certamente ragione ad inorridire, ma chi lo ha voluto portare a quel pubblico gesto a decenni di distanza da quei fatti a cosa puntava? A ristabilire il bene comune dei ciprioti o a sabotarlo? Erano quelli gli anni della grande offensiva europea di Erdogan, che aveva scacciato dal governo turco i generali che occuparono Cipro. Per la prima volta Istanbul apriva ai greci ortodossi, agli armeni, alle minoranze…. E all’Europa, alla democrazia europea, all’adesione della Turchia all’Europa. Era tutto questo l’obiettivo politico del primo ministro cipriota? Forse sì: mettere il papa contro il processo di riavvicinamento tra Europa e Turchia, processo che dopo avversità e dubbi Benedetto XVI ha invece sostenuto!
E veniamo ai fatti recenti. Qualche giorno dopo l’inizio del sinodo sulla nuova evangelizzazione, che si va concludendo in queste ore in Vaticano, un gruppo di patriarchi orientali viene ricevuto, il 15 di questo mese, a colazione dal papa. Lì i patriarchi potrebbero aver rappresentato al papa tuttti i patimenti, i dolori dei cristiani in Siria. Gli avranno parlato anche dei dolori degli altri? Forse no, si saranno soffermati su quel piccolo gregge dimenticato. “Che fare? Inviamo una dlegazione a testimoniare loro la nostra vicinanza?” Ecco fatto. La benevolenza, assai nobile, del papa può essere trasformata in un’inizaitiva diplomatica che consentirà a chi vorrà usarla strumentalmente di sostenere Assad. Come sarebbe stata interpretata la decisione di inviare una delegazione vaticana a Damasco (ma non nei campi profughi) nelle ore in cui il regime ha scatenato i suoi candelotti di dinamite a Beirut e secondo molti anche ad Aleppo e Damasco?
Contrastata da un partito islamofobico, la diplomazia vaticana ha fatto di tutto in questi mesi, d’intesa con il Papa, per sostenere le ragioni della libertà e della dignità umana, non quelle dei tiranni. I patriarchi, legati anche per motivi individualissimi ai regimi, hanno fermamente avversato questa scelta. Con il pranzo hanno fatto come il presidente cipriota, sapendo di avere davanti una persona pulita, perbene. Intendevano usarlo politicamente? Se è così si tratato di una circostanza grave (basta pensare cosa sarebbe successo se l’orrenda strage di Beirut non avesse consentito la Vaticano di fare macchina indietro) , che ha dimostrato anche la vaghezza della segreteria di stato, quantomeno poco solerte nel comprendere dove quella colazione avrebbe potuto portare. Ma su emergenze del genere non si può essere “vaghi”.