di Ezia Maccora*
Dalla Calabria alla Lombardia, passando per la capitale, emerge con chiarezza l’immenso fenomeno corruttivo che sta stritolando drammaticamente il nostro Paese. Il susseguirsi di importanti inchieste penali evidenzia che non siamo di fronte a singoli ed isolati casi di non rispetto delle regole, ma ad un sistema con assai ampie zone infette in cui la corruzione, nelle sue diverse forme, è divenuta regola di condotta.
Ancora una volta, a distanza di più di venti anni da “Mani Pulite”, i magistrati devono farsi carico della risposta repressiva ad un fenomeno diffuso, con il rischio, in assenza di adeguati sistemi preventivi, di trasformare nuovamente il processo penale da eccezione a regola. Agli storici è demandato il giudizio su questa nuova emergenza nazionale (più grave o meno grave di quella vissuta nel 1992? Una nuova Tangentopoli o un fenomeno diverso?) ma un dato può già essere evidenziato.
L’intervento giudiziario di questi mesi si colloca in un contesto ben più grave dei precedenti. Da un lato la crisi finanziaria ed economica che sta attraversando il Paese nel contesto di una Europa che fibrilla, dall’altro l’emergere di sempre più gravi infiltrazioni mafiose nella società, nell’economia, nella pubblica amministrazione e nelle Istituzioni. La recentissima indagine milanese ha portato alla luce l’esistenza in Lombardia di un contesto criminale che molti esponenti della politica e della società hanno fino ad oggi negato, ed ha evidenziato come la criminalità mafiosa sia riuscita a spostarsi dal sud al nord controllando porzioni sempre più rilevante di territorio produttivo, avviando redditizie attività di riciclaggio finanziario ed imprenditoriali, arrivando ad alterare regolare fondamentali per la vita democratica. Ecco perché le parole pronunciare da Ilda Boccassini nel sottolineare che le condotte illecite riscontrate rappresentano “l’inquinamento della democrazia” sono un macigno di fronte al quale non si può restare indifferenti.
Né si può dubitare che il bene giuridico tutelato dall’art. 416 ter c.p. è il principio di legalità democratica e rappresentativa delle istituzioni politiche. Siamo quindi di fronte ad un’illegalità di sistema senza precedenti e ad una questione morale ineludibile. Il Paese ha bisogno di un profondo mutamento dell’etica pubblica e privata e non bisogna commettere l’errore di considerare risolutiva la sola repressione penale. Occorre un rilancio morale per rifondare le regole della vita pubblica e restituire ai cittadini fiducia nell’agire politico. Fatta questa indispensabile premessa, occorre prendere atto, che ancora una volta, in questo difficile contesto, la magistratura è chiamata da subito a dare le prime risposte. Innanzitutto ai singoli magistrati spetta il compito di affrontare il lavoro giudiziario con la massima professionalità, la necessaria competenza, l’indispensabile equilibrio, pervenendo ad una decisione definitiva in un tempo ragionevole. Ma vi è anche un compito ulteriore, particolarmente importante, che coinvolge la magistratura associata. Occorre evidenziare al mondo politico ed istituzionale la necessità di interventi legislativi idonei a dare (restituire) alla magistratura gli strumenti indispensabili per un rapido accertamento delle responsabilità penali nelle aule giudiziarie. La legge sulla corruzione che è, in questi giorni, all’esame del Parlamento rappresenta un segnale positivo, non solo per il tentativo di adeguare la normativa interna a quella europea, ma anche perché è espressione della volontà del governo di voler voltare pagina rispetto al recente passato. E’ però solo l’inizio di un percorso che richiede molti passi ulteriori. Per questo, l’Associazione Nazionale Magistrati, nel ruolo di efficace interlocutore delle forze politiche e delle Istituzioni in materia di giustizia, deve riprendere collettivamente la parola, senza esitazioni e con rinnovata e tempestiva nettezza.
La corruzione non rappresenta un’emergenza dell’ultima ora, si conoscono bene gli strumenti necessari per avviare un’efficace azione di contrasto sul piano della prevenzione e della repressione. Il testo in discussione al Parlamento può essere migliorato, come hanno già ben evidenziato, in alcune interviste, i vertici della Giunta dell’Associazione Nazionale ed alcuni singoli magistrati. L’Associazione deve mettere a disposizione del Legislatore la propria competenza tecnica. In questa fase di elaborazione e discussione è doveroso evidenziare quelle criticità, che se risolte, potranno dare al Paese una legge anticorruzione utile, sia perché consentirà alla magistratura di accertare le responsabilità pervenendo a sentenza definitive di assoluzione o di condanna, sia perché sarà una prima risposta alla richiesta dei cittadini di una nuova etica della politica. Per questo ritengo necessario sollecitare il Comitato Direttivo Centrale, che si riunirà il 27 ottobre, a predisporre ed approvare un testo che indichi con chiarezza le criticità riscontrate.
Provo già in questa sede ad elencarne alcune
1) Intervenire sulla prescrizione. L’Europa, e l’OCSE in particolare, chiede che le responsabilità penali siano accertate attraverso una decisione definitiva, e non che i processi per corruzione si arrestino per il maturare del termine di prescrizione del reato, perché questo scardina l’efficienza e la credibilità del diritto penale. La corruzione è un reato di difficile emersione, spesso l’indagine si avvia molto tempo dopo la commissione dei fatti e richiede mezzi di accertamento complessi (intercettazioni ed accertamenti patrimoniali) con il rischio di non arrivare ad una pronuncia definitiva per il veloce maturare del termine di prescrizione. Rivedere il regime della prescrizione (non dimentichiamo che i tempi sono stati dimezzati con la ex Cirielli) è quindi essenziale, se si vuole veramente operare per un forte ed incisivo contrasto alla piaga della corruzione.
2) Le pene edittali per alcune nuove ipotesi di reato (come il traffico d’influenza volta a punire la condotta dei soggetti che si propongono come intermediari nel disbrigo di faccende corruttive, nonché di quelli che ne ricercano la collaborazione) sono troppo contenute, con la conseguente non utilizzabilità di un mezzo di ricerca della prova fondamentale come quello delle intercettazioni.
3) Indispensabile rivedere il falso in bilancio, per accertare condotte prodromiche (evadere il fisco e trovare fondi neri utili per successive condotte illecite) a reati più gravi.
4) La nuova formulazione della fattispecie penale della corruzione/concussione prevede che venga punito non solo il Pubblico ufficiale che induce ma anche il privato che accetta l’induzione, anche quando tale soggetto non ha avuto nessun vantaggio. Senza l’introduzione di una qualche causa di non punibilità o di una consistente riduzione della pena per chi si adopera fornendo una concreta e fattiva collaborazione per la ricostruzione dei fatti, c’è il rischio concreto che nessuno collabori più con la giustizia per paura di ritrovarsi inquisito e di essere condannato con una sanzione che prevede fino a tre anni di pena detentiva.
5) La pena da tre a otto anni prevista per la nuova fattispecie della corruzione per induzione rispetto alla forbice 4/12 della normativa precedente avrà effetti immediati, essendo più breve il termine per il maturare della prescrizione. Il nuovo apparato sanzionatorio, a causa del sistema prescrizionale introdotto dalla citata legge 5 dicembre 2005, n. 251 (cosiddetta «ex Cirielli»), rischia, di fatto, di impedire l’accertamento giudiziario dei reati di corruzione. Inoltre la duplicazione dell’originario reato di concussione in due nuove fattispecie potrebbe creare problemi di continuità normativa sui processi in corso.
6) Il delitto di corruzione privata (che coinvolge ad esempio le banche o le assicurazioni) resta procedibile a querela della persona offesa, nonostante si tratti di una condotta illecita che provoca un danno per la collettività.
7) Importante introdurre la fattispecie penale del c.d autoriciclaggio, essendo noto che costituisce uno dei principali canali di occultamento dei proventi delittuosi, in particolare del crimine organizzato, dei reati economici e di corruzione.
8) Occorre allargare e precisare il reato di scambio elettorale politico-mafioso, estendendolo non solo ai casi in cui è provata l’erogazione di danaro ma anche alle altre utilità, con l’obiettivo di spezzare il rapporto corruttivo tra mafia e politica.
Già questi limitati ma necessari interventi consentirebbero, se accolti, di affrontare con maggiore efficacia un problema che si presenta ineludibile.
* Comitato Esecutivo Centrale dell’Associazione Nazionale Magistrati
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