DECIO MACHADO – Vandana, di recente sei stata invitata ufficialmente a visitare il Parco Nazionale di Yasunì, considerato la regione dove si concentra la più alta diversità biologica del mondo. Qual è il tuo punto di vista, dopo questo viaggio?
VANDANA SHIVA – Non conoscevo Yasuní, e voglio innanzitutto ringraziare di cuore Yvonne Baki, Segretaria di stato, ed il governo ecuadoregno che mi hanno permesso di vivere questa meravigliosa esperienza. Sintetizzando, tre sono gli aspetti che mi mi hanno profondamente colpito e che considero molto importanti: la prima, l’enorme ricchezza di biodiversità che esiste nel parco Yasuní; la seconda, il senso profondo di sacra purezza che si respira lì; la terza, la diversità e molteplicità di vita che c’è in questa area protetta. Ringrazio moltissimo il popolo ecuadoregno per aver immaginato e attuato il progetto ITT-Yasuni: oltre che per le comunità indigene colpite, per le organizzazioni ambientaliste o l’intera società ecuadoregna, questa iniziativa va difesa perché di vitale importanza per l’intero pianeta.
D.M. – Franco, tu hai attraversato il Parco su strade diverse da quelle percorse da Vandana. Qual è secondo te la situazione odierna a Yasuní?
FRANCO VITIERI – Sono appena tornato, e devo confessare di essere molto più preoccupato di prima. Anche se già avevamo informazioni su attività di costruzione di infrastrutture petrolifere nel Blocco 31 e intorno al Parco, una volta lì devo dire che il Piano B del governo mi pare sia avanzando. Parlo della logica che va verso l’estrazione di petrolio nello ITT. A livello internazionale il discorso ufficiale è buono e seducente, il governo Correa si conferma difensore della natura, dell’ambiente e delle popolazioni indigene, ma la realtà mi pare lontana dal messaggio propagandistico.
D.M. Alberto, tu sei uno dei fautori dell’Iniziativa Yasunì – ITT. Puoi spiegarci più nel dettaglio in cosa consiste?
ALBERTO ACOSTA – Si tratta di una proposta che supera le visioni settoriali, e la stessa visione nazionale. L’iniziativa mira infatti a mantenere il petrolio sottoterra in cambio di una compensazione economica, risorse finanziarie, della comunità mondiale. Con questa proposta, nel 2007, l’Ecuador ha stupito il mondo. ITT ha padri e tutori, raccoglie le proposte accumulate nel tempo di diverse persone e organizzazioni della società civile, è il prodotto di un lungo processo di resistenza e di lotta dei popoli indigeni e dei contadini dell’Amazzonia, e di tante altre persone provenienti da differenti regioni del paese che hanno seguito questo processo on coerenza.
Yasuní -ITT rappresenta un punto di rottura nella storia ambientale. Supera la fase delle parole senza proposte efficaci, rimette con forza in discussione la logica dello sviluppo estrattivo, ed indica una possibilità reale di costruire un benessere globale, inteso cioè come vita degli esseri umani in armonia con se stessi e con la natura. Il progetto si basa su una visione rispettosa della natura, e delle opzioni culturali dei popoli liberi in isolamento volontario che ancora abitano il territorio dell’Amazzonia.
D.M. – Vandana, quanto regge la proposta di lasciare il petrolio sottoterra, nel mondo di oggi sottomesso al potere delle multinazionali petrolifere?
VANDANA SHIVA – L’India, che a differenza dell’Ecuador è un paese molto popolato, lascia ancora spazio all’esistenza degli animali che nella nostra cultura consideriamo sacri. Nel mondo interdipendente come quello in cui viviamo, già nella seconda metà del XX secolo abbiamo sviluppato il concetto di “villaggio globale” in riferimento al modo con cui le nuove tecnologie della comunicazione hanno trasformato la nostra idea di distanza, il nostro rapporto con i luoghi e le società del mondo.
La regione di Yasuni è il cuore del nostro “villaggio globale”. Parlando di Yasuní, parliamo di qualcosa che va ben oltre i parchi naturali o la conservazione e gestione della fauna selvatica. Parlando dell’iniziativa ITT – Yasuní, parliamo del riconoscimento che la Costituzione dell’Ecuador dà alla Madre Terra. Vale la pena di sottolineare che la Madre Terra merita tutto il nostro rispetto. Non siamo noi che diamo i diritti alla Madre Terra, è la Madre Terra che ci dà i suoi.
La Costituzione dell’Ecuador, attraverso il riconoscimento dei diritti della natura, ha risposto a più di 500 anni di sfruttamento selvaggio delle risorse naturali. La colonizzazione delle nostre terre si è sviluppata sul sacrificio dei popoli autoctoni, delle popolazioni indigene. E’ partendo da qui che si è sviluppata la colonizzazione della natura, delle comunità indigene, delle donne, della cultura e del futuro. E’ tutto interrelazionato. Quindi, l’iniziativa ITT – Yasunì deve andare avanti in coerenza con la costituzione,, ed il petrolio presente nel sottosuolo deve restare lì. Lanceremo una raccolta firme a livello internazionale, per sostenere questa proposta.
Parlare dei diritti della natura significa parlare dell’iniziativa ITT – Yasuní, significa parlare di decolonizzazione della natura, e smettere di considerarla come qualcosa di passato. Nel mondo globalizzato di oggi, e di fronte alla predazione cui è sottoposto il pianeta, siamo obbligati a riflettere sulla decolonizzazione dei popoli indigeni, della natura e delle donne. Dobbiamo decolonizzare il futuro, smettere di pensare egoisticamente che vogliamo tutto oggi e iniziare a pensare seriamente sullo stato attuale del pianeta e le generazioni future.
A parer mio, Yasuní non è solo un’esperienza sacra. Per me, il Parco si è trasformato in una università della natura e della vita, in qualcosa che richiede la necessità di un pensiero diverso. Tutto quello di cui abbiamo bisogno ci viene dalla natura. Aldilà del numero di rettili e di uccelli che esistono a Yasuní, stiamo parlando di interconnessione della vita. Yasuní rappresenta in realtà la ricchezza della vita della natura di fronte alla società dei consumi e alla ricchezza materiale.
D.M. – Franco, il prossimo ottobre il governo ecuadoregno promuove l’Undicesima “Ronda Petrolera” che aprirà almeno dodici nuovi blocchi petroliferi nel centro e nel sud est del paese. Non ti sembra una contraddizione, rispetto all’approccio ITT – Yasuní, questa ulteriore espansione della frontiera petrolifera nel territorio amazzonico?
FRANCO VITIERI – Certo, si tratta effettivamente di una contraddizione. Il governo del presidente Correa lancia l’11.mo round petrolifero, mentre a livello internazionale delinea un discorso ambientale. Prima di parlare di questo, però, vorrei chiarire alcune questioni che riguardano l’iniziativa ITT – Yasunì. Lasciare il petrolio nel sottosuolo il risultato della pressione delle popolazioni indigene sul governo. Il nostro obiettivo, a questo proposito, è far capire ai diversi popoli del mondo che bisogna smetterla di praticare il colonialismo sulle nostre comunità.
Se in qualche momento possiamo anche agire insieme per difendere ITT – Yasuní, che cosa ci assicura che le risorse che arrivano in Ecuador non saranno utilizzate con una logica predatoria che non rispetta la natura e le le popolazioni indigene? Il comportamento quotidiano del governo ecuadoregno genera in noi dubbi e preoccupazioni. Per noi, il denaro che è possibile raccogliere attraverso questa iniziativa è meno importante della difesa della vita. È in questa prospettiva che interpretiamo questa proposta rivoluzionaria; l’obiettivo è la difesa della ricchezza naturale dell’Amazzonia, la sua spiritualità e i nostri modi di vita tradizionali. Stiamo parlando di una ricchezza che non può essere misurata in termini quantitativi, è parte di noi stessi, della nostra visione del mondo. Il denaro non ci interessa così tanto, nonostante ce ne sia bisogno se pensiamo alle alte percentuali di povertà che esistono nel mondo indigeno, il 60%, una vergogna. Quello che vogliamo veramente è che le persone sappiano qual è il nostro modo di amare la vita, una vita in cui uomini e donne sono un elemento in più nell’ambito della natura. Vogliamo vivere in armonia con essa.
Analizzando le questioni specifiche dell’11.mo round petrolifero, la Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Amazzonia Ecuadoregna, CONFENIA, ha recentemente denunciato all’opinione pubblica che la costituzione ecuadoregna e i diritti dei popoli indigeni sono stati violati per quanto riguarda l’attuazione del decreto esecutivo 1247,- pubblicato il 19 luglio 2012 -, che parla di consultazione gratuita, previa e informata per l’estrazione di idrocarburi , già in corso di attuazione senza alcuna consultazione.
La dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni, trattati, convenzioni e accordi sui diritti indigeni e collettivi nell’ambito delle norme stabilite dalla Corte Interamericana dei diritti umani non sono stati del tutto osservati.
La campagna pubblicitaria e mediatica lanciata dal governo nella comunità amazzoniche, così come il processo di socializzazione implementato per promuovere l’11.mo round petrolifero, utilizzano informazioni che strizzano l’occhio agli interessi estrattivi, e trasformano il popolo in un semplice ricettore di informazioni. Perché è più facile negoziare con chi ha perso tutto.
D.M. – Alberto, puoi spiegarci quali sono le origini e in che cosa consistono il Piano A e il Piano B del governo rispetto all’iniziativa ITT – Yasuní, e qual è lo stato delle tensioni interne tra chi difende una posizione o l’altra?
ALBERTO ACOSTA – L’iniziativa ITT, acronimo che fa riferimento alle riserve petrolifere del corridoio Ishpingo-Tiputini-Tambococha, situato nel parco Yasuni di cui rappresenta solo una frazione, è stata ufficialmente lanciata dal presidente Correa nella sessione della direzione di Petroequador, il 30 marzo 2007. La posizione assunta da Correa calmò temporaneamente il conflitto esistente tra il Ministero dell’Energia, di cui ero titolare a quel tempo, che proponeva di lasciare il petrolio in ITT in cambio di una compensazione economica internazionale, e Petroecuador che sotto sotto accelerava la firma degli accordi per giungere all’estrazione del greggio lì esistente.
Da questo momento si è accettato come prima opzione il Piano A, cioè lasciare il greggio in terra, per non turbare un’area di straordinaria biodiversità e non mettere a rischio l’esistenza di popoli in isolamento volontario o senza contatti. Questa misura prevede anche che la comunità internazionale consegni almeno la metà delle risorse generate qualora si scegliesse di sfruttare il petrolio, valutato economicamente intorno a 3,60 miliardi di dollari. Si tratta dunque di una decisione innovativa che va all’incontrario della logica dominante nel pianeta, basata sull’estrazione di ogni goccia di petrolio, sino all’ultima, ovunque scoperta nel mondo.
Conservare il greggio sottoterra nell’area ITT ha importanti implicazioni etiche, sociali e anche economiche e, come dice bene Franco Vitieri, non tutte quantificabili in termini monetari. Permettere di evitare l’estinzione della cultura waorani, la cui sussistenza è basata sulla caccia, la raccolta e l’agricoltura nomade. È un dato di fatto che l’industria del petrolio e lo sfruttamento espansivo permanente delle foreste abbiano colpito irreversibilmente la maggior parte del popolo waorani e altri gruppi indigeni. Si tratta di salvare i pochi che restano dall’assedio occidentale, i tagaeri, i taromenane, ed gli oñamenane.
Questa proposta, inoltre, permette di evitare l’emissione di circa 410 milioni di tonnellate di CO2, cioè potrebbe salvare il mondo, ed evita anche gli effetti della deforestazione causata dallo sfruttamento del petrolio. Le riserve di petrolio ITT stanno sotto un territorio che ospita la biodiversità più concentrata sul pianeta, ci sono almeno 165 specie di mammiferi, 110 di anfibi, 72 di rettili, 630 di uccelli, 1130 di alberi e 280 di liane, senza contare le innumerevoli specie di invertebrati che non sono ancora classificati.
Tuttavia, con il passare del tempo, il presidente Rafael Correa ha assunto su questa proposta posizioni contraddittorie ed ambiguità che mettono a rischio l’iniziativa stessa. Vediamo che periodicamente si fanno compromessi per il Piano A, mentre si minaccia di sviluppare il piano B con lo sfruttamento del petrolio greggio. Una situazione che solleva dubbi nella comunità internazionale, e si presta ad essere strumentalizzata per non appoggiare un’iniziativa che coincide con la grave crisi economica a livello internazionale.
D.M. – Vandana, capisco che la ricchezza per te non significhi necessariamente soldi. Tuttavia, l’iniziativa ITT-Yasuní si basa sull’apporto economico della comunità internazionale. Che ne pensi?
VANDANA SHIVA – Certo, la ricchezza non significa necessariamente soldi. A Yasuní. si può sperimentare la ricchezza della natura. Si sperimenta il benessere semplicemente per il fatto di essere lì. Ma non è così, nel mondo delle multinazionali. Già adesso, attraversando il fiume Napo, non si riesce più ad apprezzare la grande ricchezza di uccelli e scimmie, ciò che si vede è un gran numero di camion che trasportano materiali e macchinari per l’estrazione del greggio. Si deve essere saldi sui valori della propria cultura. Yasuni è forte in sé, è una fonte di forza per la vita, il suo valore reale si riflette nel valore reale di lasciare il greggio in terra. Direi che non possiamo permetterci di distruggere uno dei pochi luoghi al mondo dove la natura e la vita sono intatti.
D.M. -Il governo dell’Ecuador quantifica il valore del greggio seppellito nel sottosuolo di Yasunì in 7 miliardi di dollari…
VANDANA SHIVA – Che cosa sono 7 miliardi di dollari seppelliti nel sottosuolo? Le multinazionali che vendono sementi geneticamente modificate, OGM, guadagnano molto più di 7 miliardi di dollari. Per salvare le banche di Wall Street sono stati spesi molto più di 70 miliardi di dollari. Il denaro speso per Wall Street non ha alcun valore se confrontato con l’impegno che riguarda il salvataggio di questa ricchezza naturale. È una sfida che tutta l’umanità deve assumere, è parte della lotta per la vita. Personalmente spero che sia la società dell’Ecuador ad impegnarsi a lasciare il greggio nel sottosuolo di Yasuní, e mi assumo il compito di promuovere l’iniziativa ITT a livello internazionale. Pochi giorni fa ho accettato l’invito della Segreteria di Stato Ivonne Baki a promuovere come ambasciatrice una raccolta di fondi per sostenere ITT – Yasunì. Questa iniziativa porta l’Ecuador al centro dei diritti della natura. a livello internazionale.
D.M. – In Ecuador vengono attualmente estratti circa 500 mila barili di petrolio al giorno, ed il Paese è destinato a migliorare l’estrazione con lo sfruttamento di nuovi campi. L’8 marzo scorso è stata firmata con la prima concessione con la Cina – con la multinazionale ECSA – per l’estrazione su larga scala, in una zona altamente sensibile. Attualmente, si sta modificando la normativa per facilitare la firma di una nuova concessione in questo territorio con una compagnia simile chiamata Kinross. Ma l’agenda strategica nazionale, così come il piano nazionale del Benessere e la stessa Costituzione parlano di “società postestrattiva”. Ti sembra la strada per arrivarci?
VANDANA SHIVA – Pensare ad un’estrazione continua è una contraddizione con quanto è scritto nella costituzione dell’Ecuador, la base che definisce il paradigma per il benessere e la formazione di una società futura postestrattiva. Dobbiamo pensare che non sempre avremo risorse per l’istruzione, la salute e altri problemi attraverso lo sfruttamento delle risorse naturali; dobbiamo rinnovare l’economia dei Paesi. Vediamo quanti danni ha causato in Equador la Chevron Texaco, quali sono le conseguenze…Penso che anche se Chevron pagasse tutti i danni che ha causato niente sarebbe più uguale a prima, nelle aeree contaminate. Le comunità indigene sono attualmente considerate come culture primitive, ma io credo che saranno loro ad indicarci il cammino per andare avanti. Dobbiamo muoverci verso i diritti della natura, questo è il grande valore di progetti come ITT – Yasunì, dobbiamo muoverci verso una nuova ideologia.
D.M. – Franco, come ci si arriva?
FRANCO VENTIERI – Per noi, i popoli indigeni, significa uno sviluppo che parte da un’altra prospettiva: non abbiamo molto, ma la cosa più importante è vivere all’aperto e sentirsi in contatto con la natura, farne parte, coltivare la famiglia e la comunità. Eppure, assistiamo a cose ridicole che succedono nel nostro territorio, per esempio si sta costruendo una città del millennio, a Panacocha. ignorando il sapere ancestrale e i modi locali di vita. Mettono cemento nella giungla, materiali nocivi e lontani dalla nostra cultura, dalle tradizioni. Viviamo seguendo il predominio del pensiero unico. Nella giungla il pensiero è vario, chiediamo rispetto per la nostra cultura, i nostri modi di vita e di organizzazione sociale. Diamoci da fare con il buon senso e la ragione.
D.M. Alberto, qual è la proposta attuale per salvare ITT – Yasuní-?
ALBERTO ACOSTA – -L’esperienza di Yasuní ci fornisce un nuovo modo di intendere la vita. Gli ecuadoregni dovrebbero poter visitare tutti qualche parte del Parco Nazionale per capire che ogni essere vivente ha una ragione di essere.
Nel Paese, l’estrazione petrolifera è iniziata quaranta anni fa nel Lago Agrio, un nome che viene certamente dal primo pozzo petrolifero della Texaco nella regione. Cominciammo ad estrarre petrolio nell’agosto del 1972, e pensavamo che tutti i problemi si sarebbero risolti con la sua esportazione. Siamo sulla porta dello sviluppo, ci fu detto, qualcosa di simile a quel che avviene oggi. Ebbene, dopo 4,50 miliardi di barili di petrolio estratti in questi quaranta anni, Ecuador non si è sviluppato e le province amazzoniche sono le più povere del paese. Perché ripetere un’altra volta la stessa esperienza, aspettandoci risultati diversi?
L’aspetto interessante dell’iniziativa ITT – Yasuní è che riguarda tutta l’umanità. Non si tratta di ricevere soldi in base ad una compensazione, si tratta di condividere responsabilità differenziate. Tutti dobbiamo proteggere la natura, ma ci sono alcuni che, nella situazione attuale di deterioramento del pianeta, hanno maggiori responsabilità rispetto ad altri. Chiediamo due, tre, cinque, dieci, mille iniziative ITT – Yasuní per difendere il nostro pianeta.
Quindi, dobbiamo inventare una nuova opzione, un Piano C: difendiamo Yasuní,anche se non avremo un solo dollaro. Dobbiamo trasformare Yasuní in uno strumento per le grandi trasformazioni globali, e per questo abbiamo bisogno di un governo che non si contraddica, che agisca in coerenza con gli obiettivi posti : non si può estrarre petrolio nel Blocco 31 che sta all’interno dello Yasuní e mette a rischio l’intera ITT. Inoltre, dovrebbero essere firmati gli accordi con il Perù ed estendere l’area protetta nel paese limitrofo.
La foresta amazzonica è stata la nostra area di colonizzazione, è stata la periferia della periferia. Non possiamo continuare a trattare l’Amazzonia come il cortile della Repubblica. Per fare questo, dobbiamo “smercantilizzare” la natura, guardare al verde degli alberi dello Yasunì e non al verde dei dollari. L’iniziativa ITT mira a costruire un sistema di giustizia ecologica globale, per questo il fattore chiave non è basato sulla logica del denaro.
D.M. Che cosa pensi dell’Undicesima Ronda Petrolifera?
ALBERTO ACOSTA – L’Undicesima Ronda Petrolifera altro non è che lo sviluppo della logica estrattiva del governo. A mio avviso, genererà gravi conflitti senza nemmeno grandi aspettative di ricaduta economica dall’estrazione. Si stima che il contenuto dei pozzi seminterrati coinvolti nell’Undicesima Ronda sia tra 100 e 120 milioni di barili di petrolio, mentre nel sottosuolo di Yasuní si parla di 850 – 900 milioni. Da un punto di vista sociale, tutte le comunità indigene saranno toccate. Dal punto di vista ambientale, distruggere da centro a sud la foresta amazzonica è una cosa che i nostri figli e nipoti non potranno perdonarci. .
D.M. – Vandana, vuoi aggiungere qualcosa?
VANDANA SHIVA – Voglio solo dire che sono d’accordo: l’iniziativa ITT – Yasuní deve essere moltiplicata, dobbiamo evitare che fiumi e mari siano contaminati e che vengano distrutte le ultime foreste. Dobbiamo lavorare per combattere i semi geneticamente modificati e il predominio delle multinazionali. In scala, ogni seme libero equivale a uno Yasuni.
Blog dell’autore: http://deciomachado.blogspot.com.es/2012/09/tres-voces-distintas-y-seis-manos.html
tratto da Women in the city