Tra i tanti malanni diagnosticati all’Italia c’è quello della mancanza di meritocrazia all’interno del mondo del lavoro e della scuola. Cioè quella fastidiosissima tendenza nostrana a non usare come metro di giudizio le reali capacità di una persona ma il sesso, le condizioni economiche e soprattutto le conoscenze e parentele. Un sistema basato su questo tipo di valutazioni è chiaramente votato al fallimento completo. Un metodo per impedire che caratteristiche non attinenti all’attività lavorativa siano il criterio di scelta, è sicuramente quello dei concorsi pubblici. Un sistema senz’altro affetto da errori, soprattutto perché una volta vinta la lotteria del concorso, la reale attitudine a quel posto di lavoro non viene più esaminata, andando incontro a fenomeni di lassismo.
Tuttavia è l’unico modo per garantire il più possibile l’oggettiva scelta dei candidati, ma questo criterio non può essere applicato invariato per l’accesso all’università. Eppure è ciò che avviene ormai da diversi anni.
Il mese di settembre si apre con i neo diplomati ad affollare le aule universitarie per sostenere i tanto discussi test d’ingresso. A livello nazionale vengono effettuati quelli di medicina e odontoiatria, veterinaria, architettura e professioni sanitarie. Ogni anno viene fuori un acceso dibattito sulla reale efficacia di questi test nella selezione degli studenti. La prima critica che viene mossa è circa l’attinenza delle domande proposte al corso di studi scelto (per dirne una, la domanda sullo spread nel test di medicina). Ma questa è soltanto la punta dell’iceberg della questione del numero chiuso. Come hanno ribadito più volte le associazioni studentesche, Unione Degli Universitari in primis, esso è una contraddizione evidente dell’articolo 34 della Costituzione (La scuola è aperta a tutti).Proprio per questo nei giorni scorsi sono stati effettuati numerosi flash mob, frutto di una protesta ormai ben consolidata, al punto che si aspetta il pronunciamento della Corte Costituzionale, la quale potrebbe anche dichiarare incostituzionale il numero chiuso. Se ciò avvenisse il Codacons ha dichiarato che è già pronta una class action per i non ammessi.
Basta un dato a far capire quello che sta avvenendo nelle nostre facoltà: di 77mila aspiranti medici, soltanto in 11mila saranno ammessi e si arriva all’assurdo pensando che, secondo le stime del Ministero, entro il 2018 si avrà una carenza di 22mila medici. Medicina è emblematica, ma non l’unica, ormai il 55% delle facoltà ha istituito il numero chiuso con relativo test d’ingresso e il motivo è principalmente economico. Visti i miseri fondi del Ministero, le facoltà fanno cassa con le iscrizioni ai test. Considerando che la media è di 50 € per iscrizione e che molti ragazzi ne fanno più di una, si capisce subito che sono cifre considerevoli. È tutto qui il punto della questione, ancora una volta si è davanti alla triste realtà di uno Stato che non investe sui suoi ragazzi. Realtà che diventa tragica se si pensa alla disoccupazione giovanile oltre il 30%. In poche parole, non c’è posto per noi ventenni.
Ma che futuro può avere una nazione che non trova né spazi né investimenti per i suoi figli?