di Domenico Gallo e Tommaso Fulfaro
Sono passati undici anni dalla scomparsa di Sergio Garavini, avvenuta il 7 settembre 2001, ma il tempo trascorso non ha appannato l’attualità della sua appassionata lezione politica ed il valore della sua testimonianza che lo colloca fra i più grandi uomini politici italiani del novecento. Anzi in questa epoca grigia, nella quale sulle macerie del berlusconismo si abbatte la pioggia fredda dei dictat dei mercati finanziari, intermediati dalla narrazione di organi tecnici, che pretendono di governare in nome di una sorta “liberismo scientifico” e di sostituire i meccanismi della democrazia con le ricette della “scienza” economica, dovrebbe essere più avvertita che mai l’esigenza di cambiare rotta e di reagire al sopravvento dell’economia sulla politica che prosciuga gli spazi della democrazia.
I risultati di questa nuova narrazione si vedono nel trasferimento della sovranità dal popolo ai mercati; nella sottrazione allo Stato di ogni facoltà e strumento di intervento nella vita economica; nello svuotamento del principio di rappresentanza e delle vie per la partecipazione dei cittadini alla determinazione della politica nazionale; nell’abbandono della concertazione con le parti sociali e nella rinunzia a promuovere la coesione sociale; nella crisi dello Stato di diritto per il venir meno di uno spazio pubblico capace di dettare le regole al sistema delle imprese e all’economia privata; nella pretesa oggettività e neutralità delle decisioni tecnocratiche; nello smarrimento e anzi nel rovesciamento degli ideali di solidarietà e giustizia che diedero luogo alla costruzione dell’Europa.
Quello che viene in gioco è la rottura del nesso vitale tra economia e democrazia, sul quale si è costruita gran parte della storia moderna dell’Occidente e che ha trovato una robusta regolazione nella costituzione italiana, che ha saldamente inserito il fenomeno economico nello spazio pubblico della democrazia.
E’ stato proprio l’indebolimento della democrazia, attraverso processi politici ed istituzionali che hanno messo fuori gioco la partecipazione, riducendo la politica a mero scontro di elites, che ha aperto la strada alla crisi attuale.
A differenza degli altri leaders politici e sindacali, Garavini aveva perfettamente capito che il futuro si giocava non sull’abbandono ma sulla rinnovazione dei meccanismi della democrazia politica, economica e sociale. Per Garavini l’essenza della democrazia politica è la partecipazione ed il significato di un moderno discorso socialista è quello di “fare appello alla soggettività sociale, portarla verso la conquista degli spazi occupati dalle istituzioni, proiettarla in forme reali di autogestione sociale e di partecipazione democratica” Di qui la critica – che rappresenta un motivo dominante del pensiero e dell’impegno politico di Sergio Garavini – allo statalismo delle sinistre e la sua proposta prioritaria di tornare nella società. Garavini si rende conto che il punto di caduta del progetto di democrazia scaturito dalla Costituzione del 47 è nella crisi del partito politico di massa ed egli giustamente percepisce la crisi del partito come crisi della democrazia. In questo contesto si colloca la sua critica al sistema elettorale maggioritario e a quei progetti di riforma istituzionale che miravano a blindare gli esecutivi, sterilizzando la partecipazione popolare.
Per reagire alla crisi del partito come forma di democrazia di massa, Garavini non si affidava alle alchimie del potere proposte dagli apprendisti stregoni che evocavano le riforme istituzionali, ma propugnava il ritorno alla società ed alla politica. Di qui il suo impegno nel Comitato per la Democrazia Costituzionale e la sua critica intransigente al progetto di revisione della Costituzione proposto dalla Bicamerale.
Garavini si rendeva conto che l’avvento di questa nuova destra al governo – eversiva poichè estranea alle tradizioni costituzionali del nostro paese – in questo contesto internazionale profondamente mutato, sarebbe stato una catastrofe politica in quanto avrebbe inciso profondamente sulla cifra democratica delle istituzioni, pregiudicando proprio la possibilità di mantenere aperti i percorsi di comunicazione fra la società e lo Stato.
Bisognava mantenere aperta quella porta, che molti, a destra come a sinistra, volevano chiudere. Occorreva, perciò, anteporre la difesa delle istituzioni ad ogni, sia pur legittimo, interesse di partito. Su questo terreno Garavini fu capace di andare avanti a costo di una rottura definitiva col partito del quale era stato fondatore e segretario e pagò – per le sue scelte – un prezzo durissimo in termini di emarginazione politica. Ma non reagì all’emarginazione con risentimento o con l’abbandono. Anzi proprio nel periodo in cui massimi erano i conflitti, le divisioni, l’incomunicabilità ed il settarismo a sinistra, Garavini, attraverso l’Associazione “Per la sinistra”, da lui fondata (ed anche attraverso l’adesione all’Associazione per il Rinnovamento della Sinistra, fondata da Aldo Tortorella) investì la sua passione e la sua intelligenza politica per la riapertura del dialogo e per l’avvio di un processo di rinnovamento e di ricomposizione politica. Con l’obiettivo di superare la frammentazione della sinistra, ricomponendola nel quadro di una identità programmatica comune, avente al centro i diritti del lavoro, la partecipazione popolare e la salvaguardia dell’ambiente, cioè tutti quei beni pubblici repubblicani che adesso sono contestati dalla narrazione politica dominante.
Nella primavera-estate del 2000, prima di essere bloccato dal male che, un anno dopo lo avrebbe definitivamente fermato, Garavini impegnò tutte le sue energie e lanciò un appello contro la rassegnazione e per la rinascita della sinistra nel nostro paese, dal titolo suggestivo ma adeguato all’urgenza dei tempi: “se non ora quando?”
Nell’appello rilevava che “ se il problema delle alleanze non è eludibile, è evidente che nessuna alleanza di centrosinistra può funzionare se viene a mancare la credibilità della sinistra” e rivolgendosi al PRC osservava che “tali posizioni critiche persuadono se non vengono proposte semplicemente come ragioni di partito, ma sono avanzate per unire e mobilitare forze più vaste che vi si possano un tutto o in parte riconoscere, mirando a incidere realmente sugli indirizzi di governo nel nostro paese.”
L’appassionato appello di Garavini al cambiamento ed all’unità della sinistra non fu accolto nel 2000 (con i risultati che tutti abbiamo avuto modo di sperimentare sulla nostra pelle), né dopo, ma è diventato di indifferibile attualità oggi e ci richiama alla responsabilità dell’agire collettivo per costruire, tutti insieme, un nuovo inizio, una nuova stagione che ci consenta di riscattare il nostro Paese dalla vergogna del regime berlusconiano e dall’oppressione dei nuovi conquistatori.
Oggi più che mai è necessario ricostituire quel patto di amicizia che i Costituenti hanno lasciato in pegno alle generazioni future, promettendo un futuro di pace, democrazia e diritti:
se non ora, quando?