Sant’Egidio riporta l’Europa a Sarajevo

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di Riccardo Cristiano
Le premesse ci sono tutte: quando i problemi non vengono risolti, ma nascosti sotto il tappeto, o peggio, quando ci si accorda con i nazionalisti favorendo le varie separazioni etniche e i propri interessi nazionali, senza un’idea di futuro, si può fermare la carneficina, ma non si comincia un cammino nuovo.

Ora, vent’anni dopo, il ritorno dei nazionalisti in Serbia fa capire a chi ha voglia di guardare al Sud Est europeo quando esplosiva sia la situazione. E Sarajevo, al centro della mai nata Bosnia post-bellica, è ovviamente l’epicentro simbolico e reale del nuovo pericolo.

E’ proprio a Sarajevo che Sant’Egidio ha, con fatica, organizzato il suo incontro annuale per la pace e il dialogo. Non facile. Proprio no. E infatti i capi di stato balcanici presenti non sono tantissimi, come avrebbero potuto essere. Ma, segno molto importante, ci saranno già da oggi Monti e Van Rompuy, a indicare che almeno un pezzo d’Europa è pronta a prendere un’iniziativa per evitare che nei Balcani si scivoli verso nuove avventure.

Lo sforzo di Sant’Egidio ha messo a segno anche un altro importantisimo risultato. Il patriarca ortodosso, per la prima volta nella storia, è entrato ieri nella cattedrale cattolica di Sarajevo.Un fatto epocale, che avrà ripercussioni ma anche un impatto positivo per i “volenterosi”.

Certo, non tutti hanno avuto il coragio di seguire Sant’Egidio nell’assunzione di responsabilità balcanica che non ci fu vent’anni fa, quando la cecità dei calcoli nazionalistici tedeschi e russi soprattutto portò l’Europa ad assistere impotente al disfacimento dell’umanità balcanica. I tedeschi, per esempio, sono rimasti alla finestra anche oggi. Ma la presenza di Van Rompuy fa intedere chiaramente che l’idea di varare un progetto per invertire il corso degli eventi elaborata da Sant’Egidio ha fatto breccia a Bruxelles. E con questa Europa è già tantissimo. Indubbiamente infatti a Berlino qualcuno si illude che Slovenia e Croazia siano già “in salvo”, che i guai riguardino solo Kosovo, Bosnia, Albania, Macedonia e Serbia. Ma qui a Sarajevo molti, fondatatmente, ne dubitano.


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