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Salinadocfest: tra sogni interrotti e mondi sommersi

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Mancano poche ore alla proclamazione del vincitore di questa edizione speciale del Salina Doc fest che anche quest’anno come nelle scorse edizioni conferma una profonda attenzione ai temi del sociale raccontato attraversando in maniera preferenziale i territori del sud del mondo e del sud Italia, con un occhio particolare, come recita la sezione Mediterraneo, a questo luogo in cui le culture si sono incontrate e intrecciate nel corso di lunghi secoli.

Colpisce l’intensità narrativa de Le cose belle, di Giovanni Piperno e Agostino Ferrente, uno spaccato di vita napoletana compiuto attraverso quattro storie individuali. Un film che va visto da lontano come suggerisce uno dei sue registi poco prima la proiezione: lo spettatore si trova di fronte a quattro ragazzini che nel giro di pochi minuti reincontrerà uonini e donne, con una storia, un vissuto, dei sogni, costretti, dalla vita, ad accantonare in età adulta. I due registi non scelgono la posizione frontale lo stacco della telecamera ma confidenzialmente entrano nelle case e nelle vite dei quattro protagonisti in un rapporto di reciproca complicità e collaborazione sin dalle prime scene… le Cose belle sono forse quelle perse, o sono ancora da venire? A questo il film non da risposte ma lascia al pubblico la possibilità di darne una, forse recuperando quell’ingenuità tipica dei bambini, quando tutto sembra possibile e tutto sembra poter essere bello.

Sogni interrotti dunque come quelli contenuti nello Zero a Zero di Paolo Geremei e mondi occultati da un’informazione troppo spesso distratta e dalla memoria breve…

Questo è il merito che spetta per esempio a Mineo Housing documentario girato a ridosso dell’apertura del villaggio della solidarietà di Mineo e capace di restituire, a tratti, un volto e un vissuto a uomini e donne ( rifugiati) arrivati in Italia alla ricerca di un sogno o di una speranza e finiti inesorabilmente dentro un gabbia a cielo aperto. Racconto corale anche in questo caso dettato dall’esigenza pressante di concedere voce, anche solo per cantare, a chi una voce non puo averla. Mineo esiste ancora? “esiste si ma non ne parla più nessuno” questo il commento amaro della regista Greata de Lazzaris che, con il suo film ha spinto forse qualcuno a riaprire gli occhi.

Sulla stessa scia Padrone bravo, di Simone Amndola, nuovo atto di denuncia delle aberranti condizioni in cui versano i lavoratori immigrati impiegati in nero per la raccolta stagionale. Agro pontino, pochi km fuori Roma, si apre un mondo popolato da 10-20.000 indiani costretti a lavorare per paghe da fame, schiavizzati, sfruttati, e truffati in alcuni casi. Chi pensava che Rosarno fosse ormai lontana dovrà pur ricredersi. I lavoratori parlano, raccontano, denunciano, ma subiscono in silenzio ricattati da quel permesso di soggiorno senza il quale non si è neanche un numero.

Sguardi diversi, dicevamo ma che raccontano un futuro che è già presente e continua ad essere invisibile ai più, futuro che è già lo specchio di un presente, quello italiano, in cui l’esigenza di raccontare i nuovi italiani sembra una spinta insopprimibile.

 


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