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Roberto Roversi. Il tempo dei monti furenti e dell’amicizia fantastica

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L’articolo era per “Il Manifesto”, in quel giornale pubblicava spesso; che anno poteva essere? Anni Settanta, direi. In quell’articolo si citano dei versi di un poeta francese, anche lui un passato di resistente ai nazisti nel maquis, René Char. Versi che mi sono rimasti scolpiti da allora, come certe terzine di Dante, alcune ballate di François Villon, i versi di Baudelaire, di Walt Whitman o Allen Gisberg. E’ il 142esimo canto de “Feuillets d’Hypnos”: “Le temps des monts enragés/et de l’amitié fantastique”, che nella raccolta “Poesia e prosa” pubblicata nel 1962 da Feltrinelli Giorgio Caproni traduce: “Il tempo dei monti furenti/e dell’amicizia fantastica”.

Una splendida immagine, come solo la poesia e i poeti sanno dare.

E’ da allora che comincia “l’inseguimento” a Roberto Roversi: gli articoli via via pubblicati sul “Manifesto” e “l’Unità”, le poche cose pubblicate sull’“Espresso”; gli interventi e le poesie in piccole riviste fatte per amore e passione della letteratura e della poesia come “Il Filo Rosso”; quelle che lui stesso animava e in cui pubblicava i suoi poemi: “Rendiconti”, “Il cerchio di gesso”, “La Tartana degli Influssi”, “Dispacci”, “Spartivento”, “Il Foglio degli eremiti”; i libri della collana dei “Serpenti acrobati” pubblicata dal riminese Manlio Maggioli, con alcuni tra i più belli dell’amico Tonino Guerra: da “Il Miele” a “L’Aquilone”, da “Tempo di viaggio” a “La Capanna”.

L’università a Bologna, in quegli anni anche cupi, da lupi (“Radio Alice”, l’assalto a un’armeria e la morte di Lorusso, i carri armati nel centro di Bologna…), è stata una bella e formativa stagione. La libreria antiquaria di Roversi, la mitica “Palmaverde” era un luogo magico; e fantastici quei cataloghi, che compulsavi di avidità e maledicendoti: perché per un libro che riuscivi ad accaparrarti ce n’erano dieci altri che lasciavi con la morte nel cuore; e la gioia quando arrivava finalmente il pacchetto, confezionato in modo impeccabile: perché Roversi aveva una maestria e una perizia tutta sua nel confezionare i pacchetti con dentro i libri, ed erano semplicemente perfetti…

Ci sono persone che quando se ne vanno, lasciano comunque un vuoto, e ti scopri commosso: persone come Leonardo Sciascia o Gesualdo Bufalino, Tonino Guerra, Alberto Sughi, Andrea Zanzotto…e ora Roberto Roversi.

In questa stagione – non solo politica – scostumata e volgare, Roversi era, per il suo rigore e la sua coerenza, un esempio di quell’Italia di minoranza che non “molla”, non cede: irriducibile, mite e paziente, ma anche determinata e gonfia di quello sdegno e pudore che ti fa dire: “Perché?”, e soggiungere, come lo scrivano di Melville: “Preferirei di no”. ; quell’Italia che continua a tenere accesa una piccola, preziosa, fiammella. Che poco conta, nei momenti di grande luce, ma è importantissima quando il buio è assoluto. Dedicati all’amico Tonino Guerra, Roversi ha scritto alcuni versi: “…Inventore di ombre, di soli, di erbe/distilla alchermes stregato/per vincere il dolore/e rendere meno faticosa, e più degna/la speranza”. Potrebbero essere benissimo versi di Guerra per Roversi.

Anni fa, a cura dell’Associazione degli “Amici di Leonardo Sciascia”, è stata pubblicata una cartella di cento esemplari, “Il Clarino”, con un’acquaforte di Nunzio Gulino e un testo di Roversi. Parla di Sciascia, ma anche di sè: “…La prima volta mi chiese se la signora Roversi, moglie a Orsi, capostazione arrivato a Racalmuto, tempo prima, da Bologna, era per caso, mia parente. Sì, era sorella di mio padre. Ne trasse un sorridente auspicio per il nostro incontro e per una buona amicizia. Poi nel 1954 ebbe la buona attenzione e la grande cortesia di accogliere nella serie di libretti di poesia che si apprestava ad avviare, una mia raccoltine che uscì affiancata a Paolini e Romanò…”. E ancora: “Già allora (e anche adesso, senza credere Sciascia un santo di pazienza), già allora pensavo che non fosse capace a contenere ira o violenza o sguaiataggine di sorta e che anche le sue parole più dure non fossero tali da essere destinate a trafiggere una persona intera, magari solo per un momento…”. Par di vederli, Roversi e Sciascia, in libreria o a passeggio sotto i portici per raggiungere un ristorante, che parlano di poesia e della vita, di libri da fare e da trovare, “i primi tempi era cauto – non con me né per qualche sospetto o timidezza: ma perché – credo – fosse quello il suo modo, un po’ contratto, di perlustrare il territorio in cui si muoveva…”.

Le fantastiche amicizie, appunto; che aiutano a sopportare questo tempo di monti furenti che sembrano non passare mai.


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