di Gaëlle Courtens*
La VII Assemblea della Comunione di chiese protestanti in Europa (CCPE) che si terrà a Firenze dal 20 al 26 settembre con il motto “Liberi per il futuro”, riunirà nel capoluogo toscano 250 persone tra delegati, osservatori e staff provenienti da una trentina di paesi e appartenenti a 106 chiese riformate, luterane, unite e metodiste. Il fatto stesso che quest’assise del protestantesimo storico europeo si svolga in Italia, dovrebbe permettere alle chiese italiane che vi aderiscono di guadagnare in visibilità nel panorama religioso nostrano: questo almeno l’augurio delle chiese luterana, metodista e valdese in Italia, co-organizzatori dell’evento. L’arrivo a Firenze dei rappresentanti della “Concordia di Leuenberg” come una preziosa occasione, dunque, per far conoscere meglio le chiese della Riforma in Italia? Ne abbiamo parlato con il pastore metodista Massimo Aquilante, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), che ha tracciato un quadro assai realistico del rapporto tra mondo dei media e chiese protestanti in Italia.
Presidente, in quanto rappresentante di un organismo italiano composto da chiese cristiane di minoranza, conosce bene le difficoltà che incontrano gli evangelici in Italia quando si tratta di partecipare a livello mediatico al dibattito pubblico. Quali sono i temi grazie ai quali le chiese protestanti italiane ottengono accoglienza nei media nazionali?
La risposta che viene spontanea è questa: nessuno! Non esistono argomenti specifici che, per loro natura, possano indurre i media a rivolgersi anche agli evangelici per ascoltare le loro posizioni e dare loro voce. Questa osservazione di fatto, forse troppo asciutta ma sicuramente triste e preoccupante, spinge ad almeno due considerazioni.
La prima considerazione riguarda la posizione di privilegio di cui gode la chiesa di maggioranza, la chiesa cattolica romana. Se è vero che, da un lato, le analisi sociologiche dimostrano chiaramente che anche l’Italia è ormai un paese pluralista dal punto di vista religioso, e che la chiesa cattolica conosce anch’essa da anni la parabola discendente di frequenza e di senso di appartenenza, è altrettanto vero, dall’altro lato, che la chiesa cattolica – per ragioni storiche – rimane tutt’oggi una formidabile “agenzia culturale”. Essa continua ad esercitare una straordinaria influenza nel processo di formazione delle coscienze e di determinazione delle scelte comportamentali. Su questo terreno, di conseguenza, si verifica il connubio, o l’intreccio, tra le istanze della chiesa di maggioranza e il potere politico, il quale, per parte sua, guarda alla prima come alla “istanza” che meglio rappresenta l’”italianità” e che quindi merita un trattamento anche mediatico non paragonabile a quello riservato alle altre chiese o comunità di fede o realtà religiose.
E la seconda considerazione?
La seconda deriva direttamente dalla prima, ed è questa: proprio a causa dell’influenza culturale del cattolicesimo in Italia non si è mai affermato un modo “laico” di rapportarsi al dibattito teologico, o religioso in generale. E questo fatto implica una scarsa, se non nulla attenzione al “linguaggio” teologico, o alle argomentazioni che derivano da un patrimonio di fede. I media italiani non hanno una sensibilità culturale al confronto delle posizioni teologiche quando si tratta di affrontare questioni quali, per esempio, la vita e la morte, il creato, il ruolo formativo delle religioni; per non parlare delle questioni attinenti al rapporto fede/politica, la laicità dello Stato, la costruzione dello “spazio pubblico”, ecc. E’ chiaro che chiese di minoranze, come quelle evangeliche, che hanno proprio nel confronto teologico uno dei loro pilastri fondativi, vengono penalizzate fortemente.
Insomma, non c’è scampo, in Italia il protestantesimo non fa notizia?
Nella sensibilità culturale media degli addetti ai lavori, il protestantesimo come prodotto storico-spirituale raramente incontra interesse; non “fa notizia” ciò che per esempio dicono e fanno le grandi chiese protestanti del centro e nord Europa o del nord America; e viene del tutto taciuto il ruolo che le chiese protestanti ricoprono oggi in Africa, in Asia, in certi paesi dell’America latina. Si aggiunga che l’attuale stasi del “cammino ecumenico” sembra avvalorare questa tesi di insignificanza del protestantesimo.
Ma c’è da dire anche che negli anni gli evangelici italiani non hanno curato con la dovuta continuità il tema della loro presenza nella società e del loro contributo al rinnovamento del Paese. Possiamo dire che essi hanno alternato fasi di grande slancio di impegno politico, sociale, culturale, a fasi di ripiegamento su tematiche interne. E, ovviamente, questo andamento altalenante non ha reso un buon servizio all’azione di pubblico riconoscimento, anche informativo e mediatico, delle nostre chiese.
Qual è, in questo quadro, il ruolo specifico della FCEI?
La FCEI ha come propria vocazione costitutiva proprio la cura della testimonianza unitaria delle chiese federate nella società, e quindi anche nei mezzi di comunicazione. A fronte di una situazione così complessa e difficile qual è quella che ho potuto appena tratteggiare, accade però che la rubrica radiofonica Culto Radio in onda su RAI Radiouno, e la rubrica televisiva Protestantesimo di Raidue, facciano registrare buoni indici di ascolto. Un dato che ci fa piacere e ci incoraggia a proseguire. Ma anche ci conferma nella nostra analisi, che cioè la marginalizzazione del protestantesimo nei media è piuttosto un fatto politico. E’ per questa ragione che, negli anni più recenti, la FCEI si è molto impegnata in una azione di verifica proprio con i parlamentari, che hanno poi la responsabilità ultima della decisione politica e della produzione delle leggi che riguardano la maturità democratica del Paese. In questo quadro, l’evento dell’Assemblea della CCPE a Firenze è di rilevanza assoluta, sia dal punto di vista dell’informazione, sia da quello della sensibilizzazione.
*tratto da Agenzia stampa NEV