Quando si dice “mobbing”, nelle redazioni dei giornali come nelle sedi sindacali, nel dibattito pubblico come in quello tra giuristi, non è raro che la parola venga accolta da occhiate scettiche, da domande e richieste di precisazione. Pur con molte differenze, le reazioni non sono dissimili da quelle che accompagnano un altro reato di recente introduzione nel nostro codice, lo stalking. E, pensandoci bene, da quelle più antiche ma ugualmente difficili da superare che accompagnarono in Italia la trasformazione della violenza sessuale da reato contro la morale a reato contro la persona. Capire il mobbing, riconoscerlo, prenderne atto, e dunque poterlo prevenire e combattere è difficile. E proprio per questo il libro di Sergio Negri, con le sue storie e le testimonianze raccolte nella sua attività di giornalista, è importante. (Dalla prefazione di Vera Schiavazzi in versione integrale in basso)
Indice:
Prefazione
Perché i racconti sul mobbing?
Nove storie di lavoro e ingiustizia quotidiana
L’analisi dei casi di mobbing (Daniela Acquadro Maran e Valentina Ieraci)
Mobbing: la forza dei simboli
L’esperienza dello sportello
Nota sull’Autore:
Sergio Negri è giornalista e scrittore. Collabora con diverse riviste e pubblicazioni. È coautore del trattato Scuola di tutti o di ciascuno (1986), un saggio sulle funzioni educative e sociali della scuola secondaria di I grado, e del CD-rom interattivo La conquista delle otto ore (2002).
Coautore del libro Fausto Vigevani, il coraggio di un socialista scomodo (2004, Ediesse, Roma), biografia di un sindacalista e di un politico del nostro tempo, ha curato inoltre la biografia, i saggi e le testimonianze del libro Fernando Santi. Vita di un sindacalista socialista (2005) e Fiat 1955 (2009, Ediesse, Roma).
È autore del libro Il ’68 in Soffitta (2008, Ed. Mercurio, Vercelli), un romanzo che racconta le passioni, gli amori, le speranze di un gruppo di studenti nell’anno della rivolta giovanile.
Mobbing di Sergio Negri
edizioni Libreriauniversitaria
Prefazione di VERA SCHIAVAZZI
Buongiorno, sono Vera Schiavazzi, giornalista. Ho il piacere di condurre questa tavola rotonda. Tuttavia non è facile farlo dopo aver ascoltato la lettura di Ottavia Piccolo ci ha turbati tutti, trattandosi di una delle pagine più drammatiche del libro che si conclude con un suicidio.
Al tempo stesso è proprio di qui che bisogna ripartire, cioè dalla drammaticità dei possibili esiti di un fenomeno che – come abbiamo sentito anche nella prima parte di questo convegno – è stato molto e ingiustamente sottovalutato nel passato, e tuttora è molto difficile da combattere.
Quando il collega e amico Sergio Negri mi ha chiesto di scrivere qualcosa per introdurre il suo lavoro, ho cercato come farò anche adesso in questa brevissima introduzione, di portare la mia esperienza specifica, la mia testimonianza di giornalista. Cioè di condividere con i lettori del libro e con voi quello che accade quando il tema del mobbing rimbalza all’interno delle redazioni, dei giornali.
Quando questo accade, evidentemente, è perché ci sono dei casi che sono emersi, che si sono tradotti in un contenzioso e magari sono approdati in un’aula di tribunale. Oppure, peggio ancora, casi che hanno avuto un esito tragico come appunto quello della ragazza che si è tolta la vita dopo essere stata vittima di mobbing, la storia che abbiamo ascoltato poco fa con la voce di Ottavia Piccolo.
Quello che ho voluto raccontare nella breve prefazione al libro, è il sentimento di scetticismo, quasi di sottile incredulità che spesso accompagna questo tipo di notizie all’interno dei media.
Questa esperienza mi ha suggerito una riflessione personale sul fatto che quando ci si presenta in redazione dicendo: “C’è una storia di mobbing, vorrei raccontarla”, spesso la storia è controversa; spesso anche gli esiti giudiziari di questo tipo di storie non sono così chiari.
Si attende un primo, un secondo, un terzo grado del giudizio o ancora non si è arrivati al processo; insomma, c’è la denuncia del lavoratore, c’è l’inchiesta ma non c’è una sentenza definitiva. Oppure, ci si propone di fare un pezzo di bilancio delle attività che anche sindacati come la CGIL, e non solo la CGIL, fanno per contrastare questo fenomeno. Ma il tema del mobbing è sempre accolto con un certo scetticismo.
È difficile far capire il confine che passa tra un comportamento persecutorio che produce isolamento, produce depressione, produce malattie anche gravi, e quello che può essere la normale ostilità, diciamo la normale e fisiologica ostilità, le normali incomprensioni e inimicizie tra un capo particolarmente severo e un lavoratore, il quale magari ha altre difficoltà sue personali che non derivano direttamente dal mobbing ma che lo rendono più esposto a questo rischio.
Ecco, la cosa che mi è venuta alla memoria, pensando anche a casi di mobbing di cui mi sono occupata come giornalista, è che questo scetticismo, il fatto che bisogna argomentare molto bene le ragioni per cui il mobbing è importante ed è opportuno e necessario scriverne sui giornali, è molto simile a quello che circonda altri due fenomeni.
Uno è un reato che è stato introdotto dopo, dopo che l’attenzione sul fenomeno di mobbing era già cresciuta: è il reato di stalking. Non ne parlo qui perché è un tema diverso dal nostro di oggi, ma come molti sanno il reato di stalking è stato introdotto proprio per prevenire gli effetti di persecuzioni personali che spesso possono avere esiti terribili per la vittima.
È di nuovo un reato che forse anche per la sua relativa novità, è guardato con un certo scetticismo. Entrare in una redazione e dire: “C’è una storia di stalking, parliamone…”, parliamone naturalmente in una chiave di tutela della vittima e anche di prevenzione del fenomeno, è sempre molto difficile.
Ed è la stessa diffidenza che, in modo diverso e con proporzioni diverse, suscitano anche all’interno dei media le storie di violenza sessuale. Ci sono vittime di serie A, vittime di serie B, vittime di varia natura ma chi di noi non è più giovanissima ricorda il tipo di scetticismo e anche la battaglia che fu necessaria in questo Paese, per trasformare la natura stessa del reato di violenza sessuale facendolo diventare, come è giusto, un reato contro la persona.
Questa battaglia che quotidianamente i giornalisti più… non voglio dire più sensibili, perché non voglio lodare particolarmente né me stessa, né la mia categoria ma insomma, i giornalisti più attenti a certi fenomeni sociali conducono quotidianamente all’interno delle loro testate, è una battaglia difficile.
E credo che sia giusto che anche dall’altra parte, dalla parte di chi sta fuori dalle redazioni e con le redazioni interloquisce quotidianamente, e quindi a maggior ragione un grande sindacato ma anche altre fonti giornalistiche, sappiano che noi stessi affrontiamo una sfida non facile quando dobbiamo guadagnare spazio, contendere magari con altre notizie lo spazio all’interno delle nostre redazioni.
Questo era quello che il lavoro di Negri mi ha ispirato, e che ho scritto anche nel libro. Credo che il lavoro che lui ha fatto sia molto importante, perché poche cose come la testimonianza diretta consentono di capire e di far capire qual è la reale natura di questo fenomeno.