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“Mettiamoci in gioco” boccia decreto Sanità

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di Daniele Poto
Il provvedimento di legge che doveva, sia pure tangenzialmente, riparare ai danni provocati dal gioco d’azzardo, è stata un’altra occasione persa dal Governo Monti, su questo tema in perfetta linea di continuità  e di galleggiamento con la precedente ormai innominabile e obsoleta coalizione. Ricorrendo a una metafora abusata il rimedio è paragonabile al tentativo di svuotare l’oceano con un secchiello. Del resto se non è passata la minima tassazione sulle bevande gassose (circa due centesimi a lattina, una goccia nel mare…)

Due tare minano (e mineranno anche in futuro) qualsiasi tentativo di invertire la tendenza: 1) la presenza di una fortissima lobby pro-Giochi, alimentata da movimenti sotterranei (passaggio di denaro) delle strutture di sistema (concessionari, gestori, casinò); 2) L’impostazione economicistica di ogni svolta legislativa del Governo Monti. Più della necessità di un provvedimento conta la sua compatibilità finanziaria di sistema. E, dunque, nel complesso sistema dei giochi il quaeta non movere diventa la regola per non alterare gli equilibri di quella che si può configurare come un’autentica jungla. E’ jungla quella del’azzardo perché ci sono responsabili dei concessionari raggiunti da provvedimenti di giustizia; perché le diversità delle aliquote dei diversi giochi è una deregulation che svela di per se il vulnus di sistema; perché la politica ha inquinato ogni tentativo “tecnico” di migliorare l’assetto della terza industria del paese. Le richieste della campagna “Mettiamoci in gioco” non sono state minimamente soddisfatte. Grottesca la trattativa sulla distanza minima tra i punti gioco e luoghi di interesse pubblico come le scuole: 500, 300 o 200 metri? E chi misura? E le grandi strutture esistenti? Con una battuta amara si può desumere che sarebbe più facile prevedere una diversa dislocazione degli istituti scolastici, spesso fatiscenti, rispetto alle lussuose proposte che campeggiano nella centralissima via Veneto a Roma.

Non c’è traccia nel provvedimento di una moratoria sull’ingresso dei nuovi giochi e quanto si è fatto sul fronte della pubblicità, pur nei limiti da rispettare della legge della concorrenza, è ancora risibile rispetto a quanto si potrebbe legiferare. Non c’è una sostanziale inversione di tendenza e l’occhiolino viene strizzato ancora una volta in direzione del sistema piuttosto che verso chi si batte per la più importante forma di dipendenza invalsa in Italia (800.000 afflitti da malattia patologica). Dov’è il nuovo potere conferibile ai sindaci, dove sono le indicazioni per la disponibilità finanziaria con l’inclusione nei Lea. Persino la semantica della politica riproduce la cattiva coscienza laddove si continua a utilizzare il termine di ludopatia che starà pure lessicamente a cuore ai Monopoli (e ora alle Dogane) ma non certo ai cinque milioni di italiani (familiari, amici e parenti trasversalmente compresi) che sono direttamente coinvolti nel problema. Eppure la definizione di Gap in letteratura è vigente dal 1980, data del riconoscimento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dopo 33 anni sembrerebbe giunto il momento di adottarla anche per una politica vecchia, esangue e rottamabile. Il modestissimo punto d’arrivo è un incentivo a continuare la battaglia più duramente di prima con il coinvolgimento culturale della società civile. L’iter di 18 iniziative di legge compendiato nel capitolo finale è un desolante approdo oltre che uno spaccato della logica compensatoria dell’attuale Governo. Ancora una volta l’impressione che l’interesse dei politici, salvo qualche rara eccezione, sia sostanzialmente di facciata. Sostenendo la “lobby” buona contro il gioco d’azzardo ci si fa pubblicità e magari si guadagna qualche voto per un posto al sole nella prossima legislatura.

La conclamata buona volontà dei Ministri Balduzzi e Riccardi invariabilmente si scontra con l’arcigno atteggiamento dei “veri ministri con Portafoglio”, dopo Monti, i Passera e le Fornero. Se la politica, il Governo, pensano di aver provveduto al carico sul problema con questo deterrente si sbagliano di grosso. E se accorgeranno con la mobilitazione culturale e movimentista che ne seguirà.

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