Molti di noi erano molto preoccupati per l’attentato al decoro e al buon nome della casa reale inglese, posto in essere con la pubblicazione delle fotografie a seno nudo della principessa Kate; molti di noi sono certamente molto sollevati per il fatto che la magistratura francese ha condannato il settimanale che le aveva pubblicate riparando così al grave vulnus che quelle fotografie avevano comportato; molti di noi avevano certamente seguito passo passo, con trepidazione, il dipanarsi della vicenda attraverso le quotidiane e dettagliate corrispondenze da Londra e da Parigi di giornali e televisioni. Ora che il caso delle tette e delle natiche “rubate” dell’albionica Kate sembra essere chiuso, molti di noi sicuramente possono tornare a notizie molto più banali e di interesse ridotto.
Per esempio. In Italia ci sono 34.148 siti con potenziale contaminazione da amianto e 32 milioni di tonnellate di cemento amianto ancora da bonificare. Sono le cifre che si possono ricavare dal 15esimo “Quaderno del ministero della Salute sull’amianto”.
Sul totale dei siti, spiega Giovanni Simonetti, direttore scientifico del Quaderno, “373 sono classificati di priorità uno, ossia come più pericolosi”. A questo conteggio mancano i dati relativi a Sicilia e Calabria. Con un completamento della mappatura si potrebbe arrivare a 500 siti di massimo rischio.
Dal dopoguerra alla messa al bando del 1992, in Italia sono stati prodotti oltre 3,7 milioni di tonnellate di amianto grezzo, e il Cnr evidenzia che l’amianto cemento ancora da bonificare ammonta a 32 milioni di tonnellate. Se venissero rimosse 380 mila tonnellate all’anno, occorrerebbero più o meno 85 anni per liberare il paese dall’amianto.
L’archivio del Registro nazionale dei mesoteliomi, la più grave delle malattie asbesto-correlate, comprende fino al dicembre 2011 informazioni relative a 15.845 casi di mesotelioma maligno, principalmente alla pleura, diagnosticati tra 1993 e 2008. La latenza della malattia, oltre 40 anni, potrebbe far salire ulteriormente il numero dei malati, il cui picco è atteso fra il 2015 e il 2020; e si calcola che siano circa 680 mila le persone esposte al rischio.
Altra bazzecola: l’altro giorno si è celebrato a Catania il funerale di Salvo Cannizzo, un militare con alle spalle le cosiddette “missioni internazionali umanitarie”dal 1999 al 2001, in Balcani martoriati e preda di una feroce guerra fratricida. Per vent’anni Cannizzo ha indossato una divisa per finire penosamente inchiodato su una sedia a rotelle, fino a quando il tumore al cervello lo ha ucciso; come in precedenza, sempre un tumore aveva colpito altri suoi commilitoni. Padre di tre bambine, è morto ad appena 36 anni. Un sacrificio, il suo, ripagato con 769 euro al mese, una pensione di invalidità neppure sufficiente per le sedute di terapia. Vittima, l’ennesima, di un tremendo veleno, l’uranio 238, utilizzato negli armamenti in dotazione alle forze NATO. Armamenti che uccidono non solo il nemico, ma anche, ormai, l’ “amico”. Secondo l’Associazione delle vittime, sono almeno 200 i militari morti in seguito all’esposizione di questo letale veleno; e 2500 i casi di tumore ancora in corso. Si usa il condizionale perché di notizie sicure non ce ne sono. Un fatto è comunque sicuro: tra i soldati che hanno prestato servizio in Kosovo e in Bosnia si registra una inquietante aumento dei tumori, un aumento decisamente fuori la “norma”.
La questione si trascina da almeno 15 anni. Riguarda anche i militari di altri paesi della NATO che hanno prestato servizio in Kosovo e in Bosnia; e non sappiamo, non potremo mai sapere quante vittime questo veleno ha provocato tra le popolazioni civili di questi paesi, esposte
anche loro all’uranio impoverito. Eppure ancora non esiste un trattato internazionale che metta al bando i proiettili all’uranio impoverito. E i vertici delle nostre Forze Armate, tacciono; e si capisce.
La scuola, per finire. La rivista “Wired”, rivela che almeno la metà degli istituti scolastici italiani sarebbe soggetto a rischio sismico, e richiederebbe una perizia; nonostante ciò, a dieci anni dalla tragedia della scuola “Francesco Jovine” di San Giuliano di Puglia, dove morirono 27 alunni e una maestra, solo un istituto su dieci sarebbe stato effettivamente controllato. Secondo il ministero delle infrastrutture e la protezione civile le scuole ad alto rischio in caso di terremoto sono oltre 22mila, circa la metà di tutte le 57mila scuole italiane dall’infanzia alle superiori. Il Consiglio nazionale dei geologi parla di quasi trentamila edifici potenzialmente a rischio; quelle verificate, tuttavia, sono meno di 5mila. Delle 4048 scuole del Lazio, solo 583 sono state controllate; e 292 sono risultate a rischio alto o altissimo. Nulla fa pensare che nelle altre regioni la situazione sia diversa.