Per Silvio Berlusconi la messa in vendita de La7 e di Mtv da parte di Telecom rappresenta un raggio di sole e anche più, mentre sul sistema dei media italiani può calare con essa una autentica cappa di piombo. Saremmo più che mai a MediaRai. Ora si capisce meglio perché l’ex premier rinvii di continuo ogni annuncio sul proprio futuro politico. Gli affari di famiglia esigono che il Berlusconi politico eviti di danneggiare, in una partita difficile, Mediaset. La quale presenta dati negativi sia negli ascolti che nella raccolta pubblicitaria. Meglio per lui rimanere in scena a fare il controllore delle maggioranze invece di impegnarsi in un improbabile ritorno a Palazzo Chigi
La mossa di Mediaset di presentare entro il 24 settembre una proposta di interesse per TiMedia di Telecom (emittenti tv, infrastrutture, frequenze, ecc.) serve ad “andare a vedere” le carte di chi vende. Ma può anche significare la volontà di comprare per poi smembrare una tv generalista e tenersi soltanto ciò che serve. Come ha ben rilevato ieri su l’Unità Rinaldo Gianola, TiMedia ha chiuso il 2011 con una perdita di 83 milioni (quasi 29 più dell’anno precedente) e il primo semestre di quest’anno con un “rosso” di 35 milioni. Né il varo di un Tg “diverso” che pure fa ascolti e di qualificati programmi di approfondimento e di intrattenimento con elementi ex Rai (Lerner, Formigli, Gruber, ecc.) ha portato lo share medio oltre il 4 %. Però la raccolta pubblicitaria è la sola a segnare incrementi (+ 10,8 %) insieme a quella di Sky, contro una perdita media del settore sull’8-9 %.
Inoltre l’arrivo sul video dell’équipe di Michele Santoro, reduce dalla buona esperienza di Servizio pubblico, promette, o prometteva, un balzo degli ascolti e quindi degli spot connessi. Come accadeva su Raidue ai tempi di Annozero, prima che la Rai si “suicidasse”, anche economicamente, estromettendolo. Assieme ai nomi già indicati, Santoro presenta agli occhi del Cavaliere il grave difetto di potenziare una tv già fastidiosamente critica per lui, sia come candidato-premier sia come controllore delle maggioranze (del Monti dopo Monti, magari). Comprare La7 e devitalizzarla può diventare dunque per lui un doppio affare.
Glielo consentono le leggi vigenti? La legge Gasparri è tagliata su misura per lui come il doppiopetto grigio che indossa: all’interno del calderone del Sic (Sistema Integrato delle Comunicazioni), dovrebbe superare, in modo diretto e indiretto, il 20 %. Né dovrebbe – ma è più controverso – creargli problemi il “tetto” di 5 multiplex che pure, più che un tetto, è un grattacielo. Potrà intervenire allora l’Antitrust? Potrebbe. E però molto dipende anche dal governo dei tecnici che, fin qui, non ha fatto granché in materia. Nominati i vertici della Rai e ristretti i poteri del CdA, la decisione più significativa è stata quella di parcheggiare l’ex direttore generale Lorenza Lei alla Sipra che boccheggia ed avrebbe bisogno di competenze molto agguerrite. Sul versante dell’asta delle frequenze il ministro Passera non partorisce da mesi una decisione: se Mediaset potrà comprare La7 e le sue frequenze, spenderà di meno e non avrà più bisogno d’altro.
L’acquisto diretto di TiMedia da parte di Mediaset – certamente sfrontato in una Europa dove il servizio pubblico è da decenni “messo in sicurezza” da leggi forti e da canoni elevati – non è la sola prospettiva minacciosa. Nel senso che esso riporterebbe a galla il gigantesco conflitto di interessi berlusconiano e magari ricreerebbe, risvegliando i dormienti, un fronte politico meno sfaldato e diviso. Non meno pericoloso purtroppo sarebbe l’acquisto da parte di una cordata di «amici del Cavaliere», che sortirebbe per lui effetti politici analoghi (via o imbavagliati i programmi molesti) e non andrebbe a scontrarsi coi pur radi paletti opposti da leggi e Autorità di vigilanza (dove altri “amici” vigilano, pro Arcore o Cologno Monzese, s’intende). Con la Rai conciata com’è, rischia dunque di calare sul panorama dell’informazione televisiva – i Tg sono l’unica fonte per oltre il 60 % degli italiani – la cappa più opprimente, il più gigantesco bavaglio che la storia ricordi, dagli esordi televisivi del 1954. Stavolta saremmo davvero alla videocrazia.
Pubblicato su L’Unità del 16 settembre 2012