“Nel 2012 mancheranno cinquanta milioni di entrate pubblicitarie, ed i contributi statali si ridurranno di altri 21 milioni. Il direttore generale pensa dunque ad un piano di riduzione delle spese – dell’ordine di 200 milioni di euro – che passa attraverso la soppressione di 500 posti di lavoro…”: non state leggendo (l’ennesimo) articolo sulla Rai, quella che viene descritta – in un articolo su “le Figaro” del 12 settembre – e’ la situazione di “France Television”. Il direttore delle news, Thierry Thuillier, ha gia’ preparato un piano, dal titolo “info 2015”, per aumentare le sinergie fra le redazioni del servizio pubblico. “Non parlo di fonderle, perche’ non credo a questa visione troppo semplicistica – spiega – parlo di rivoluzione culturale e del necessario adattamento delle redazioni e dei modelli d’organizzazione. Lo scopo e’ di fare piu’ informazione sulle reti di France Television ottimizzando le risorse. Abbiamo l’obiettivo di diventare il primo produttore e diffusore d’informazione in Francia su tutti i supporti”.
E’ evidente che i sindacati qui la pensano diversamente, che il percorso si annuncia lungo ma anche – credo – che accanto ai tagli si annuncia una prospettiva: quella di un servizio pubblico che – comunque – non rinuncia ad essere centrale. La “spending review” e’ in corso in tutte le televisioni d’Europa – non possiamo nascondercelo – ma anche nei paesi dove piu’ forte e’ la concorrenza (ad esempio la Gran Bretagna) sono chiari a tutti gli obiettivi ai quali il pubblico non puo’ rinunciare (e che lo caratterizzano rispetto al privato). L’apertura al mondo e’ sicuramente uno di questi: la Bbc e’ la Bbc anche perche’ ha – in tutto il mondo – decine di uffici di corrispondenza , fanno parte – da sempre – della sua identita’. Informare i cittadini britannici (e la piu’ vasta comunita’ internazionale che parla inglese) sulla realta’ internazionale e’ la sua missione storica.
Una conferenza di programma – come viene proposta – sulla Rai, non potrebbe prescindere da questo interrogativo: la presenza all’estero fa parte, oppure no, anche dell’identita’ del nostro servizio pubblico? Di sicuro e’ una grande parte della sua storia. La Rai e’ la Rai (anche) perche’ era “da New York Ruggero Orlando …”, “da Mosca Demetrio Volcic …”, perche’ mio papa’ mi svegliava di notte per vedere Tito Stagno che raccontava l’arrivo di Neil Amstrong sulla luna, eccetera eccetera. Nessuno si nasconde che il mondo (anche dal punto di vista televisivo) e’ cambiato, cosi’ come abbiamo ricordi diversi dei mondiali del 2006 (a seconda che fossimo sintonizzati sulla Rai oppure su Sky), anche il crollo delle torri gemelle e’ stato raccontato da tanti telecronisti differenti. Del racconto del mondo – da un pezzo – il servizio pubblico non ha piu’ il monopolio ma ne conserva – io sono convinto – l’obbligo.
E’ lo stesso discorso che riguarda il pluralismo: una televisione privata “puo'” essere pluralista (e ci sono ottimi esempi al riguardo) ma non “deve” esserlo sempre. La dinamica di mercato puo’ persino incentivare le televisioni “di parte” (per non offendere nessuno citiamo solo l’esempio di fox negli stati uniti), il servizio pubblico ha “l’obbligo” di dare voce a tutti. In italia qualcuno ama ripetere che la Rai non deve fare la fine della “Pbs” (la televisione pubblica americana). Quando fra pochi giorni ci saranno i (decisivi) faccia a faccia televisivi fra Obama e Romney divertitevi a verificare se a moderarli e’ stato chiamato qualche giornalista della Pbs o piuttosto della Fox …
I precedenti vertici della Rai hanno manifestato, quasi un anno fa, la loro opinione sull’argomento. Votando all’unanimita’ un piano di smantellamento di tutti gli uffici all’estero (con l’eccezione di Bruxelles).
Alcuni sono gia’ stati completamente chiusi (Madrid, Beirut, Istanbul, Buenos Aires, New Delhi) ed i giornalisti che ci lavoravano sono rientrati in Italia. Uno e’ stato trasformato (e’ il caso degli Stati Uniti) in “presidio” presso l’agenzia “Associated press”, tutti gli altri attendono (ancora) di sapere quale sara’ il loro destino. Va notato che – proprio mentre anche in Rai qualcuno chiede di mettere “in pool” le risorse – gli uffici di corrispondenza, da molti anni, funzionano esattamente in questo modo. Offrendo servizi giornalisti ed assistenza logistica a tutte le testate, a tutte le rubriche, con lo stesso impegno, alle stesse tariffe. Ma per certi uffici di viale Mazzini le sedi di corrispondenza sono un lusso che la Rai non si puo’ piu’ permettere, sono un “accessorio” e non un pezzo essenziale della macchina.
Una macchina che – per qualcuno – serve solo per andare da Saxa Rubra a Montecitorio. sempre la stessa strada, su e giu’. Non ha bisogno del navigatore, non avverte l’esigenza – ogni tanto – di fare una gita fuori porta, per scoprire altri pezzi di mondo.