Non poteva esserci titolo più appropriato de L’intervallo per l’opera prima del documentarista Leonardo di Costanzo, in concorso al Festival del Cinema di Venezia per la sezione Orizzonti. L’intervallo, come una cartolina un piccolo affresco di periferia, i suoi volti, le sue storie da cui il regista decide di pescarne una, quasi a caso, una storia semplice, senza pretese, ma capace di restituire la bellezza del quotidiano con uno sguardo lucido e fedele a partire dal napoletano stretto parlato dai due protagonisti, adolescenti alle prese con un contesto problematico e inquinato dalla criminalità di quartiere.
All’analisi sociologica, Costanzo preferisce il gusto intimo dell’immagine, l’inquadratura stretta, il dettaglio, la scenografia che sbalza i due ragazzi in un’atmosfera quasi fiabesca, lontana per un solo giorno dai rumori e dagli eventi della vita reale.
Veronica come una piccola principessa viene segregata dal mago cattivo dentro un palazzo abbandonato e Salvatore, di qualche anno più grande ha il compito di farle da guardiano e carceriere al tempo stesso, pur ignorando i motivi per cui la ragazza si trovi lì.
La complicità si crea attimo dopo attimo, con tempi lenti e realistici, lo scrutarsi a vicenda, il conflitto, la messa alla prova, il gioco, la fiducia reciproca… i due attraversano le varie tappe in un viaggio di esplorazione che passa attraverso stanze e cantine abbandonate, volti perduti, rumori misteriosi, giardini e tetti da cui si intravede appena la città, così lontana da sembrare finta e la cui minaccia incombe in quel nome, il nome del mago cattivo che ha il controllo dell’intero quartiere.
Il sentimento emerge con naturalezza e forse incoraggiato dall’eccezionalità del contesto. Lui è il gigante buono, lei la bambina ribelle che ha infranto regole non scritte e per questo deve scontare la sua pena e ravvedersi, lui racconta della savana e dei coccodrilli affamati, lei gioca all’isola dei famosi, sono lontani, antitetici, ma si incontrano e decidono di rimanere insieme fino alla fine ( la mancata fuga di lei, le premure immediate di lui)… Come in una fiaba.
Ed è nel finale che quella che poteva essere una fiaba torna ad essere realtà: nessun lieto fine, ma l’interruzione dell’intervallo.
Lei ammette il pentimento e torna alla sua libertà senza neanche guardarlo, lui alla sua vita di ogni giorno, al carretto delle granite, al volto del padre. In tasca 100 euro “Per il disturbo”, un biglietto scritto a penna e un velo di tristezza sugli occhi.
Un film applauditissimi ed elogiato dalla critica, a ragione.