Ilaria è stata uccisa perché era brava; il suo modo di fare giornalismo, di cercare sempre la verità ha fatto paura. (L’intensità e l’immediatezza del testo teatrale recitato da Isabella Ragonese in apertura del Premio lo testimoniano). Per questo la verità sulla sua uccisione non si conosce ancora per intero. In questi 18 anni dalla tragica esecuzione di Mogadiscio, 20 marzo 1994, ad alcuni perché abbiamo dato risposta (inchieste giornalistiche della magistratura materiali raccolti dalle commissioni parlamentari, testimonianze, etc…):
Perché si è voluto “impedire che le notizie raccolte dalla Alpi e dal Hrovatin in ordine ai traffici di armi e di rifiuti tossici…venissero portati a conoscenza dell’opinione pubblica”.
Perché si tratta di traffici illeciti che solamente organizzazioni criminali come la mafia la ‘ndrangheta e la camorra possono gestire ma che possono crescere ed estendere le loro ramificazioni in tutti i territori e in tutti i mercati perché godono di coperture e complicità nelle strutture di potere pubbliche e private.
Perché si sono volute nascondere per sempre. A partire da chi era in Somalia in quei giorni con responsabilità istituzionali militari e di intelligence, italiane e non solo, come più volte è stato denunciato.
Per questo “ci sono voluti” in tutti questi anni dolenti, depistaggi occultamenti carte false testimoni e/o persone informate dei fatti che hanno mentito: il tutto spesso confezionato direttamente e/o con la complicità di parti e strutture dello Stato.
“Menti raffinatissime” sono state e sono in azione fin dai primi giorni dopo l’uccisione premeditata: l’omissione di soccorso, la sparizione dei blok notes e di alcune cassette video, la non effettuazione dell’autopsia, la violazione dei sigilli dei bagagli, la costruzione “persistente” della tesi della casualità (tentativo di sequestro finito male, il proiettile vagante …), l’insulto, la macchina del fango (l’avv. Taormina: “Si trattò di un tentativo di sequestro finito male; nessun mistero dunque, Ilaria e Miran non stavano conducendo alcuna indagine scottante. A Bosaso erano andati in vacanza, al mare. Eroi del giornalismo perché sono morti. Ma nulla stavano cercando o avevano trovato circa ipotetici traffici di armi di rifiuti o altro”).
“Menti raffinatissime” è un’espressione di Giovanni Falcone ripresa in questi giorni dal procuratore antimafia Grasso a proposito della tempesta istituzionale contro la magistratura e il capo dello Stato. Ancora in azione come in quegli anni delle stragi di mafia, di tangentopoli, dell’esecuzione di Mogadiscio.
A Francesco Rosi è andato quest’anno il Leone d’oro alla carriera: una vita nel cinema che ha raccontato la realtà. In una bella intervista in cui definisce un film un atto poetico che rivela le verità nascoste testimonia la sua indignazione “perché non si è riusciti ancora ad assicurare alla giustizia i responsabili di questi crimini” invitando a riflettere sulla continuità di un certo meccanismo di potere che fa sì che “in Italia il corso della giustizia è accidentato, gli assassini e chi li copre possono contare sul fatto che le tracce si dissolveranno, che i reperti scompariranno. …..fino all’accreditamento ufficiale di una falsa versione, a una manipolazione dei fatti reali ….”
Francesco Rosi si riferisce a casi affrontati nei suoi film (a partire da Salvatore Giuliano) ma possiamo dire che è quello che è accaduto per Ilaria e Miran e per tutte le stragi che hanno insanguinato il nostro Paese.
Ma nonostante infiniti tentativi che avrebbero voluto chiudere questo caso da anni l’impegno incessante di Giorgio e Luciana Alpi lo hanno tenuto aperto e grazie a loro, all’Associazione Ilaria Alpi, al Premio e alle moltissime scuole, istituzioni, migliaia di cittadine e cittadini che sono impegnati, il caso è ancora apertissimo.
Siamo ancora qui non ci arrendiamo vogliamo e avremo verità, tutta la verità e giustizia.
Alla magistratura il compito di indagare, di cercare con determinazione.
Dal nuovo capo della Procura di Roma attendiamo con fiducia e con vigile trepidazione un “gesto”.
Siamo fiduciosi e anche ci impegnamo però perché ritorni e si esalti “il senso della verità dello Stato” (quello che Leonardo Sciascia scrisse essersi infranto per sempre nel cortile di Castelvetrano davanti al cadavere del “bandito” Giuliano).
La crisi non è solo crisi economica e dei mercati.
C’è una crisi culturale morale etica che ha guastato anche la politica.
Ripartire dal “senso della verità” e della giustizia può essere una buona medicina.
* Portavoce Associazione Ilaria Alpi